Elena Dusi, Repubblica. Ieri nuovo record di tamponi in Italia: 133mila. Il motore è già a pieni giri. Quanto reggerà? «Siamo stremati » confessa la dottoressa di un drive- in romano. In alcuni laboratori ci sono apparecchi che non vengono spenti da marzo. Ieri al punto di prelievo di Fiumicino si è arrivati a una fila di 12 ore.
«Quest’inverno a Padova facevamo i turni di giorno e di notte, in modo quasi improvvisato» ricorda Mario Plebani, professore di biochimica clinica e biologia molecolare dell’università di Padova, direttore del dipartimento di diagnostica dell’ospedale universitario. «Oggi non siamo a quel punto e l’organizzazione è più solida».
La corsa di Usa e Gran Bretagna
L’Italia fa meno tamponi rispetto ad altre nazioni con un’epidemia rampante. Con una media di 120mila test al giorno circa, siamo a 2 ogni mille abitanti. Francia e Stati Uniti sono a 124mila e 950mila (2,1 ogni mille abitanti), la Gran Bretagna a 225mila (3,3 ogni mille). Ma questo si spiega anche con un numero di contagi più basso. La Germania, che ha un numero di positivi paragonabile al nostro, fa circa 130mila tamponi al giorno (1,8 ogni mille), secondo lo European Centre for Disease Prevention. Paradossalmente uno dei paesi con meno tamponi è Taiwan: 3-400 per 23 milioni di abitanti. La Corea del Sud, colosso della produzione di apparecchi e reagenti, fa 0,21 test ogni mille abitanti.
I giorni di attesa
La cartina di tornasole, per capire l’efficienza del sistema, è il tempo necessario per il referto. Ma qui i dati, che già sono imprecisi e disomogenei per i test giornalieri nei vari paesi, mancano del tutto. Negli Usa, durante il picco, il 40% dei risultati arrivava oltre il tempo utile di 2-3 giorni e il 10% oltre i dieci giorni. In Francia a metà settembre si è arrivati a 11 giorni. Public Health England due giorni fa ha diffuso i dati inglesi: 9 test su 10 arrivano con oltre due giorni di ritardo. E nemmeno in Italia spesso si riesce a rispettare questo tetto. «Oltre quel limite fare il tampone è poco utile, per il controllo dell’epidemia» ragiona Plebani. «Il test ha senso se riesce a isolare i positivi e tracciarne rapidamente i contatti». Ogni giorno perso in laboratorio è un giorno guadagnato dal virus in circolazione.
Le diverse strategie
Stati Uniti e Gran Bretagna hanno deciso di processare i test in pochi laboratori centralizzati. «Questo vuol dire perdere tempo nei trasporti » spiega Plebani. In Francia a metà settembre i tecnici di laboratorio sono entrati in sciopero perché incapaci di tenere i ritmi disumani. La Germania, che è partita subito con un numero di kit e di laboratori alto, è riuscita invece a mantenere costante e contenuto il numero di tamponi giornalieri. Solo negli ultimi giorni il focolaio di Berlino sta facendo aprire qualche crepa anche nel paese più efficiente d’Europa.
I punti critici
Secondo il virologo dell’università di Padova Andrea Crisanti all’Italia servono 300mila test al giorno. Ma solo per i prelievi servirebbero 15-20mila infermieri (l’operazione va fatta in due per ragioni di sicurezza). Nei laboratori oggi, rispetto a marzo, ci sono stati senz’altro miglioramenti. In estate sono arrivati nuovi macchinari. Il problema degli apparecchi che funzionavano solo con i reagenti della stessa marca è stato in buona parte superato. Anche l’approvvigionamento di oggetti solo all’apparenza banali, come i cotton fioc e le provette in cui rinchiuderli, è al momento privo di strozzature. Ma infermieri capaci di prelevare un tampone («E se non fa male non è fatto bene» racconta un habitué come Plebani) o tecnici di laboratorio non ci si improvvisa, soprattutto se alle prese con un virus contagioso. A marzo – racconta Plebani – erano venuti in tanti ad aiutarci, tecnici o specialisti di altre discipline. I laboratori universitari che prima erano dedicati alla ricerca ci hanno dato una mano». Tutto questo rischia di ripetersi, se saremo costretti a spingere ancora un motore che è riuscito ad accelerare dai 15 mila test di marzo ai 120mila di oggi.