Il Sole 24 Ore. Si parla da diverse settimane di “cuneo fiscale” quale fosse la panacea risolutiva dei guai del nostro Paese. In effetti si afferma la dizione fiscale ma in verità si sottende il termine contributivo previdenziale. Per cuneo fiscale si intende la somma delle imposte (dirette, indirette, contributi previdenziali) che impattano sul costo del lavoro, sia dalla parte dei datori di lavoro, sia rispetto ai lavoratori dipendenti, autonomi o liberi professionisti. In sostanza, il cuneo fiscale è la differenza tra lo stipendio lordo versato dal datore di lavoro e la busta paga netta ricevuta dal lavoratore In Italia il peso del cuneo fiscale è del 45,9% uno dei più alti tra i paesi dei Paesi dell’Ocse. Basti pensare che in media un’azienda spende il 210% della retribuzione netta che eroga al lavoratore. In pratica uno stipendio netto di 1.500 euro all’azienda costa 3.150 euro.
Non essendo stato possibile, sino a ora, intervenire sul fronte fiscale riducendo le aliquote su i redditi, per poter sollevare i lavoratori dall’aumento dei prezzi dovuto all’inflazione e aumentare le loro risorse economiche da spendere si è posto l’obiettivo di intervenire sulla contribuzione previdenziale.
Con l’introduzione del sistema contributivo appariva chiaro che il principio di base fosse la natura corrispettiva del sistema. Per cui la pensione di fatto restituisce i contributi a chi li ha versati. Tuttavia, all’inizio, si attivò un sistema che distingueva fra un’aliquota di “finanziamento” indicata a definire i contributi da versare all’Inps, e una di “computo” utilizzata a definire i contributi virtuali da conteggiare nel calcolo della pensione. Di fatto da terminare una pensione maggiore dei contributi versati. Dopo dodici anni le due aliquote, finalmente, erano state allineate.
Ma la riduzione del cuneo fiscale (in realtà contributivo) ripropone oggi, per alcuni redditi, la medesima condizione del passato. In pratica si attiva una riduzione di alcuni punti dei contributi da versare all’istituto previdenziale, senza, però, influenzare il calcolo della futura pensione, e riversando nel salario quanto risparmiato dalla previdenza.
Nel Def 2023 erano stati stanziati 3 miliardi di euro per intervenire riducendo questa differenza, appunto tra ciò che paga l’azienda e ciò che il lavoratore percepisce realmente in busta paga.
L’importo dell’esonero per i periodi di paga dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2023, ferma restando l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche, è stato indicato pari al 2% dei contributi Ivs a carico dei lavoratori, a condizione che la retribuzione imponibile, anche nelle ipotesi di rapporti di lavoro a tempo parziale, parametrata su base mensile per tredici mensilità non ecceda l’importo 2.692 euro maggiorato, per la competenza del mese di dicembre del rateo di tredicesima. In pratica non superi i 35 mila euro annui. E del 3% della contribuzione Ivs dovuta dal lavoratore, a condizione che la retribuzione imponibile ai fini previdenziali, non ecceda l’importo mensile di 1.923 euro, maggiorato, per la competenza del mese di dicembre del rateo di tredicesima. Retribuzioni sino a 25 mila euro annui.
Il Governo il 1° maggio scorso ha tagliato il cuneo contributivo di 4 punti percentuali, e questo taglio si somma a quello che aveva già fatto nella precedente legge di bilancio. Così a oggi e fino alla fine dell’anno avremo un taglio del cuneo contributivo di 6 punti percentuali per chi ha redditi fino a 35mila euro, di 7 punti percentuali, per i redditi più bassi, fino a 25mila euro. Con aumenti che possono arrivare sino a 100 euro per i lavoratori con i redditi più bassi in un momento nel quale l’inflazione galoppa e il costo della vita aumenta. Bene per quanto attiene il recupero stipendiale, meno bene per quanto si riversa sulla spesa previdenziale.
Infatti l’annunciata riduzione dell’aliquota contributiva comporta un gettito contributivo che copre solamente circa l’85% della spesa. I contributi mancanti saranno fiscalizzati e di conseguenza pagati anche dai contribuenti non rientranti nella riduzione del cuneo e soprattutto dagli stessi pensionati.
Il dubbio è che venga iniziata un’opera di smantellamento del sistema contributivo e venga aperta la strada a forme pensionistiche, molto dubbie e pericolose, a “beneficio definito”. I sistemi previdenziali a prestazione definita sono, infatti, quelli che si caratterizzano per il fatto che l’organismo previdenziale si impegna a corrispondere una prestazione pensionistica predeterminata, a prescindere dai risultati della gestione delle risorse raccolte.