Repubblica. Mancano almeno 10 miliardi per coprire la seconda manovra del governo Meloni. Non basta il maggior deficit appena creato nella Nadef, quattro volte più alto di quanto lo stesso esecutivo prevedeva in aprile: 16 anziché 4 miliardi. Nei prossimi venti giorni Palazzo Chigi darà la caccia ad altre risorse. Non sarà facile, perché le strade rimaste sono due: tagliare le spese o alzare le tasse. Complicato farlo senza scontentare alleati e contribuenti. E mantenendo la promessa, esplicitata dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, di non aggiungere condoni, come la voluntary disclosure .
Anche perché il quadro non è dei più sereni. Lo ammette la stessa Nadef, la Nota sui conti pubblici approvata giovedì dal Cdm. In un focus si simulano quattro scenari avversi, pesando l’effetto di una frenata del commercio mondiale, del rialzo dei tassi, del prezzo del petrolio e dell’euro forte. Se ci fossero impennate, la crescita dell’Italia, prevista all’1,2% l’anno prossimo, potrebbe accusare cali dallo 0,1 allo 0,4%. Non poco.
Motivo in più per cercare coperture solide. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha detto che dai ministeri si aspetta non un miliardo e mezzo, ma due miliardi di tagli. Solo due o tre dicasteri hanno già risposto. «Il lavoro che non hanno fatto lo farà il ministro dell’Economia», promette Giorgetti, novello “mister Forbici”. Se quindi sappiamo chi giocherà il ruolo del “cattivo”, sappiamo pure chi si intesterà il ruolo di guastatore, a partire dal Ponte sullo Stretto che il vicepremier leghista Matteo Salvini vuole a tutti i costi veder finanziato, anche con una “fiche” simbolica, in manovra.
“Fiche” tutt’altro che indolore, se come pare attorno ai due miliardi. I tecnici del ministero dell’Economia e i collaboratori del ministro della Coesione Raffaele Fitto valutano di coprirla con le risorse nazionali del Fondo di sviluppo e coesione, visto che si tratta di un’opera al Sud e per il Sud. Tutto si tiene. Accontentato sul Ponte, saràforse più facile indurre Salvini a più miti consigli sul condono edilizio, la sanatoria per le piccole infrazioni che però piace tanto pure a Forza Italia che la chiama «rigenerazione urbanistica».
Se dunque sarà una manovra da 25–26 miliardi e 15,7 sono garantiti dal maggior deficit, bisogna come detto trovarne almeno altri dieci. La spending dei ministeri non basta, perché di quei 2 miliardi evocati da Giorgetti l’anno prossimo in bilancio ne sono segnati 800 milioni, il resto si riferisce a precedenti annualità. Da gennaio entra in vigore la Global minimum tax al 15% sui giganti del tech: il viceministro all’Economia Maurizio Leo potrebbe cifrare un primo introito, ci conta: almeno 1-2 miliardi. Come pure spetterà a Leo mettere nero su bianco quanto pensa di cominciare ad ottenere dal concordato preventivo biennale, l’accordo con le partite Iva sulle tasse da pagare in base a una stima del loro fatturato. Sempre nel “portafoglio” di Leo ci sono le tax expenditures, la selva di bonus fiscali e detrazioni che sarà appena potata di un miliardo, assicura Leo, per non dare e poi togliere, vanificando il doppio taglio di cuneo e Irpef a favore di lavoratori e ceto medio.
Il bacino delle pensioni rimane ancora tentatore per il ministro Giorgetti. Dal taglio dell’indicizzazione l’anno scorso si è garantito 10 miliardi netti in tre anni. Le nuove simulazioni Inps non entusiasmano perché, colpendo un po’ più su dei 2.100 euro lordi al mese e tenuto conto che l’inflazione da coprire è più bassa, il gettito non è eccezionale. Ma non si sa mai.
Un’altra fonte di risorse potrebbe venire dai giochi. Tre strade: le nuove concessioni sul gioco online, le vecc hie sul gioco fisico da prorogare fino al 2026, la tassa sulle vincite. Fuori dai radar sia la sugar tax che la plastic tax. Il governo non vuole farle scattare il primo gennaio. C’è poi la tassa sugli extraprofitti delle banche, ma pare già molto sgonfia.