Lo Stato fa fallire l’ippica, mette sul lastrico migliaia di famiglie e manda al macello oltre 15 mila cavalli. I dipendenti si mobilitano.
Avviso a pagamento firmato “Il Comparto ippico”, che fino a ieri significava Unire e che dalla scorsa estate viene inteso invece con il nome di Assi, Agenzia per lo sviluppo del settore ippico. Una pagina intera di ragioni e di numeri che fotografano la crisi del comparto ippico di casa nostra e che ieri ha trovato spazio su numerosi quotidiani nazionali.
È la voce della protesta di un settore che rischia grosso perché non ha più il denaro per andare avanti. Cavalli, dipendenti degli ippodromi, personale addetto alla raccolta delle scommesse e all’organizzazione delle corse. Se le cose non cambiano, fa sapere l’avviso Unire/Assi, «verrà disperso un patrimonio di lavoro, di sport e di cultura sempre autosufficiente da più di cent’anni».
I numeri definiscono i contorni di un problema che interessa più o meno direttamente circa 50 mila famiglie che operano nel settore. Qualche settimana fa, il ministero delle Politiche agricole ha deciso di tagliare drasticamente il contributo statale che viene girato annualmente all’agenzia ippica. Dai 150 milioni di euro del 2011, si è passati ai 40 milioni previsti per il 2012. Ma questo è solo l’inizio. Perché negli ultimi dieci anni il forte calo di entrate da scommesse (con la inevitabile riduzione del montepremi) ha gettato il comparto in una crisi profonda.
Per l’Unire/Assi, le risorse disponibili per il 2012 saranno vicine (considerando il contributo erogato dal ministero) ai 235 milioni, contro i 400 degli anni scorsi. Da qui, il guaio grande così di far stare in piedi un sistema che vedrebbe ridotta drasticamente la propria capacità di movimento. Tanto da non garantire più il normale svolgimento dell’attività in calendario. Con tutto quello che ne consegue.
«Quale l’obiettivo della pagina di ieri? Semplice, rivendicare la nostra dignità sociale – fa sapere al Sole24Ore.com il segretario generale dell’Assi, Francesco Ruffo Scaletta -. Non possiamo e non vogliamo che un settore come il nostro, che segue una finalità istituzionale di interesse pubblico, venga misurato con il solo metro della scommessa, che negli anni è stata aggredita dallo Stato con una serie di giochi non intelligenti e di facile consumo che ormai hanno invaso il mercato». Scaletta si riferisce ai dati dell’ultimo rapporto Assi (ottobre 2011), che presenta una situazione a dir poco sorprendente per chi non si occupa abitualmente delle logiche legate alla scommessa.
Secondo il rapporto, il gioco a base ippica rappresenterebbe oggi soltanto l’1,47% del mercato complessivo dei giochi, preceduto a grande distanza dagli apparecchi di intrattenimento (le slot machine da bar, tanto per intenderci), che volano a quota 50,65%; dai giochi di abilità a distanza (vedi poker on line), che hanno subìto un’impennata verso l’alto senza precedenti, tanto da arrivare al 18,36%; dalle lotterie, ferme o quasi al 10,83%; dal lotto, che ha uno zoccolo duro vicino a quota 8%; ma pure dai giochi a base sportiva (5,75%), dai giochi numerici a totalizzatore (2,55%) e dal bingo (2,15%).
«Le scommesse ippiche, che nel corso degli anni hanno contribuito e non poco allo sdoganamento della scommessa intesa come un gioco legale e pulito – prosegue il segretario generale Assi -, sono sempre più penalizzate da prelievi che sono molto più onerosi rispetto agli altri giochi. Tanto che a chi vende un tagliando valido per giocare sull’ippica converrebbe convertire la propria attività alla vendita di gratta e vinci. Ma non ha alcun senso. Perché la scommessa ippica è un gioco intelligente, ha bisogno di informazioni per prendere forma e costruirsi. Gli altri sono altra cosa. Eppure, questa è la situazione con la quale ci dobbiamo confrontare».
Fino al 1998, l’Unire/Assi aveva il monopolio sulle scommesse sportive che venivano prodotte all’interno del suo mondo. E poteva permettersi di raccogliere le risorse secondo passaggi consolidati e soprattutto efficaci. Poi, la svolta. Le scommesse passano nelle mani dell’Aams – Amministrazione autonoma monopoli di Stato – e le cose cambiano. Il comparto ippica organizza la “festa” che quindi viene capitalizzata da un ente centrale, che raccoglie le giocate. E decide a tutti gli effetti quali prelievi esercitare sui giochi che controlla.
«Era impensabile che l’ippica non venisse toccata dalla crisi economica che sta investendo tutto il mondo occidentale – ci tiene a far sapere Scaletta -, ma qui non si parla di ridurre l’attività e di rivedere programmi. Se non cambiano le cose, non potremmo far altro che tirare giù la serranda e mandare tutti a casa. Oggi viene a mancare la base per mantenere le persone, i cavalli e tutti coloro che lavorano in questo ambiente. Il settore rischia di scomparire, questa è la questione».
Si diceva, a rischiare grosso sono circa 50 mila famiglie in tutta Italia e 15 mila cavalli, che saranno presumibilmente mandati al macello per una cifra ridicola, pari a 300-400 euro l’uno. Manca il denaro e a farne le spese sono anche e soprattutto loro, i cavalli, che non hanno alcuna colpa e che scontano problemi che nascono da lontano.
«I prossimi passi? Fondamentalmente, due. Il primo in direzione dell’Aams, affinché i prelievi sulle scommesse ippiche vengano equiparati a quelle degli altri giochi “non intelligenti”. Il secondo in direzione del ministero delle Politiche agricole, perché ragioni sulla possibilità di riconsiderare la cifra che verrà riconosciuta al comparto per il 2012. Quaranta milioni sono troppo pochi per continuare a tenere in piedi la nostra struttura». Il segretario dell’Assi traccia il percorso per salvare l’ippica italiana e spera in una risposta delle istituzioni. Che ad oggi non è ancora arrivata e chissà se mai arriverà. «Sa qual è il nostro problema? – conclude Scaletta -. La politica ci sottovaluta, non capisce a fondo le ragioni del nostro malessere. E facendo così mette a repentaglio l’esistenza di un settore che negli anni ha fatto tantissimo per le casse dello Stato».
ilsole24ore.com – 23 dicembre 2011