La madre di tutte le battaglie è quella intorno al Nutriscore, il semaforo che – ricorda sempre la Coldiretti – riesce a dare bollino verde alla Coca Cola Light e rosso al Parmigiano reggiano. Entro il 2022 l’Unione europea sarà chiamata a decidere un modello unico di etichetta nutrizionale da adottare in tutti e 27 i Paesi membri, e l’Italia ormai da anni combatte contro l’ipotesi che la scelta ricada proprio sul Nutriscore. Il fronte del made in Italy è compatto e va dalle associazioni degli agricoltori alle imprese di trasformazione, fino al governo: l’algoritmo del Nutriscore, sostengono tutti, è calcolato per 100 grammi di prodotto e non tenendo conto del concetto di porzione. Così facendo, finisce col bocciare (calcola sempre la Coldiretti) l’85% delle Dop e delle Igp italiane, dal Grana al Prosciutto di Parma, passando per l’olio extravergine di oliva: nessuno mangerebbe mai 100 grammi di olio tutti insieme. Federalimentare considera il Nutriscore un vero e proprio attacco all’export made in Italy, una forma di concorrenza sleale contro la crescita dei prodotti italiani sui mercati europei e internazionali.
Ad oggi, però, la strada dell’Italia è in salita: a livello nazionale, membri “pesanti” della Ue come la Francia, la Germania e il Belgio hanno già adattato il Nutriscore, mentre Paesi Bassi, Lussemburgo e Spagna sono a un passo dal farlo. Con il nostro Paese, che l’anno scorso ha proposto a Bruxelles l’alternativa dell’etichetta a batteria, si sono schierate Repubblica Ceca, Cipro, Grecia, Ungheria e Romania. Per il momento si attende giugno, quando il Parlamento europeo dovrà votare la relazione congiunta che verrà presentata dalla commissione Agricoltura e da quella Salute.
A preoccupare il made in Italy in Europa non ci sono però solo le etichette nutrizionali. Nell’ambito del Piano per la salute e per la lotta al cancro, infatti, la Commissione europea a febbraio ha proposto l’adozione di etichette allarmistiche sulle bottiglie di vino, sulla scia di quanto già avviene sui pacchetti di sigarette, con l’obiettivo di ridurre i consumi di alcol. Quante probabilità ci sono che questa proposta si concretizzi davvero? Al momento, c’è solo il testo di una Comunicazione che, in quanto tale, non ha alcun valore vincolante. Ma ha pur sempre la funzione politica di orientare le proposte legislative di domani.
Sul fronte interno nazionale, infine, l’agroalimentare italiano gioca la battaglia delle etichette d’origine. Qui però la filiera del made in Italy si spacca: da un lato ci sono le organizzazioni agricole, favorevoli a indicare la provenienza delle materie prime utilizzate per un determinato prodotto, dall’altra ci sono le imprese di trasformazione, più propense a rifornirsi anche al di fuori del territorio nazionale. L’ultimo a entrare in vigore, a fine gennaio, è stato l’obbligo di indicare in etichetta la provenienza della carne utilizzata per i salami, la mortadella e il prosciutto.
Ma nel corso degli ultimi quindici anni l’Italia ha coinvolto nell’indicazione obbligatoria d’origine parecchie categorie di prodotti: il pomodoro per i pelati e i sughi, il grano per la pasta, il riso, il latte e il pollo. Eppure ad oggi, ricorda ancora la Coldiretti, circa un quinto della spesa degli italiani resta anonima, dai succhi di frutta alle marmellate, dai legumi in scatola alla frutta secca sgusciata, dal pane ai biscotti.