Quattro pilastri per la sicurezza alimentare
Il 2023 si è aperto con notizie preoccupanti sul fronte alimentare, che confermano una persistenza degli effetti che pandemia, guerra e conseguente rottura delle catene globali del valore hanno avuto sui costi di produzione e sul prezzo dei beni agricoli (secondo una recentissima analisi di Coldiretti su dati Crea, i costi di produzione di frutta e verdura continuerebbero a salire, arrivando, in alcuni casi, a raddoppiare). Notizie ancora più preoccupanti, tuttavia, provengono dal fronte climatico: in questi giorni, la Sicilia fa la conta dei danni provocati all’agricoltura dagli eventi climatici estremi che l’hanno investita nella prima metà di febbraio, mentre le campagne del Nord si preparano ad affrontare un nuovo allarme siccità. In questo caso, tuttavia, siamo di fronte a shock strutturali e ingravescenti con i quali i nostri sistemi alimentari dovranno fare sempre di più i conti e che, secondo recenti simulazioni, colpiranno soprattutto alcune regioni del Nord (Emilia Romagna e Veneto) e del Sud (Puglia, Sardegna e Sicilia), più esposte di altre al rischio di desertificazione.
Per non sottovalutare quanto questi shock possano minare alla base la nostra sicurezza alimentare, è necessaria una comprensione profonda di questo concetto multidimensionale. Spesso, infatti, quando si parla di insicurezza alimentare, si è portati a pensare che faccia riferimento solo a situazioni di scarsità estrema di cibo, che riguardano principalmente i paesi a basso reddito.
In realtà, la sua definizione è assai più articolata e la costruzione della sicurezza alimentare deve poggiarsi su quattro pilastri egualmente importanti e simultaneamente necessari (World Food Summit, 1996 e 2009): disponibilità di cibo, equo accesso, utilizzo appropriato e stabilità dei primi tre pilastri.
Non basta infatti che un paese ogni anno produca o importi una quantità sufficiente di cibo che incida positivamente sulla disponibilità, ma deve essere anche garantito a) che i mercati alimentari siano accessibili economicamente e fisicamente, difendendo il potere d’acquisto delle famiglie e promuovendo infrastrutture adeguate per il funzionamento dei mercati stessi; b) che l’utilizzo del cibo sia tale da trasformarlo in nutrienti, controllandone gli standard sanitari e promuovendo l’educazione alimentare; c) che sufficiente disponibilità di cibo, equo accesso e appropriato utilizzo siano stabili nel corso del tempo.
È chiaro che se guardiamo alla sicurezza alimentare in questi termini, nessun paese oggi può dirsi sicuro, Italia inclusa. In particolare, i recenti shock che hanno colpito i sistemi alimentari globali hanno fatto vacillare la stabilità degli altri tre pilastri e, in particolar modo, quelli di disponibilità e accesso.
Servono sistemi resilienti
In un mondo interconnesso, lo spazio politico che i governi nazionali hanno singolarmente per agire sulla prevenzione e riduzione degli shock è certamente limitato. La partita del cambiamento climatico si gioca a livello globale e, tra l’altro, siamo vicini a perderla e a dover riconoscere, con tutta onestà, che l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale entro 1,5-2 gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali non sarà raggiunto, come alcuni tra i più importanti esperti di clima dicono chiaramente in un sondaggio condotto da Nature. Parimenti, le tensioni geopolitiche che hanno avuto significative ripercussioni anche sulla nostra economia sono nate e, in un modo o nell’altro, si risolveranno altrove, così come le recenti instabilità economiche, che si innestano sì su debolezze strutturali nazionali, ma originano dai mercati globali.
Più che illudersi di poter fermare o controllare nascita ed evoluzione degli shock, quello che i governi nazionali possono e devono fare è invece cercare di minimizzarne le ricadute, lavorando alla costruzione di sistemi alimentari resilienti che siano in grado di prevenire, anticipare e assorbire gli shock e i fattori di stress, adattandosi e trasformandosi in tempi rapidi. La costruzione di un sistema alimentare resiliente deve diventare obiettivo prioritario delle strategie nazionali e locali e necessita di uno sforzo istituzionale che identifichi e sostenga con metodo “tutti gli attori e le componenti del sistema, analizzandone le interazioni reciproche e con il più ampio contesto economico, sociale ed ambientale, e identificandone rischi, vulnerabilità e capacità di reazione” (Fao, 2021).
A questo proposito, i dati ci dicono che nel nostro paese c’è ancora molto da fare. Secondo il Global Food Security Index, indicatore composito che misura differenti aspetti della sicurezza alimentare, l’Italia è particolarmente debole per quanto riguarda la dimensione “Sustainability and Adaptation”, che la vede al 40° posto nella classifica globale e al 20° posto in quella europea. Il dato rivela la mancanza di strategie locali per la riduzione del rischio associato ai disastri naturali che minacciano la produzione agricola, così come politiche insufficienti a proteggere le risorse naturali. Nella classifica relativa all’indice nel suo complesso, l’Italia è al 27° posto su 113 paesi con un punteggio pari a 74 su 100.
Tabella 1 – Global Food Security Index (dimensioni selezionate per 26 paesi europei)
Ancora più allarmante è il dato sulla dimensione “Food Security and Access Policy Commitments”, dove l’Italia è 80° nella classifica globale, con punteggio pari a zero (come la maggior parte dei paesi europei), dettato dalla mancanza di una chiara strategia nazionale di sicurezza alimentare e di un’agenzia dedicata. In questo senso, il Pnrr, che si basa proprio sul concetto di resilienza, rappresenta un’occasione mancata. Il Piano di ripresa e resilienza prevede infatti alcuni importanti interventi che, tuttavia, non colmano del tutto le lacune e non sono sufficienti a garantire la stabilità della sicurezza alimentare nella sua multidimensionalità in tempi di eccezionale incertezza.