Il paradosso delle regioni in rosso che fanno pagare i ticket e le addizionali Irpef e Irap più pesanti ai loro cittadini, ma che intanto curano meno e meno bene. La spesa sanitaria che riduce i disavanzi ma che, tra continui tagli per tamponare i conti pubblici nell’emergenza finanziaria, precipita fino a -28,7% rispetto alla media Ue del -14. La prevenzione finanziata metà rispetto alla Svezia e un terzo rispetto alla Germania.
I farmaci che arrivano sul mercato con il 30% in meno dei maggiori partner Ue. E una fuga dalle cure degli italiani più poveri che si traduce in 2,7 milioni di famiglie che scansano medici e ospedali perché non possono permetterselo. Gli esperti del Crea di Tor Vergata lo definiscono «universalismo imperfetto». Potremmo ribattezzarla la maionese impazzita della sanità pubblica. Quella di un federalismo con troppi guasti, frutto amaro di tagli lineari e di uno Stato che non ce l’ha fatta a governare con equità il diritto alla salute universale sancito dalla Costituzione.
È ricco di spunti, riflessioni, casi e analisi l’XI «Rapporto Sanità» presentato ieri dal Crea del Policlinico romano «Tor Vergata». Un rapporto che non può non lasciare con l’amaro in bocca: per il troppo tempo perso nella faticosa transizione federalista, per gli errori compiuti in tante sedi sia locali che nazionali, anche per gli slogan che non raramente circondano le diagnosi del “malato Ssn”, come delle terapie impiegate con enfasi ragionieristica non raramente eccessiva. E naturalmente non poteva mancare un riferimento ai tagli alla sanità pubblica, quelli che anche quest’anno riserva la manovra 2016 e che dagli anni della tempesta finanziaria hanno fatto recedere pesantemente il finanziamento del Ssn.
«Le promesse sul finanziamento, da ultimo nel Patto della Salute, anno dopo anno sono state smentite dai fatti, come anche quelle di non toccare i settori che più sono stati oggetto di interventi, prima di tutto il farmaceutico», ha dichiarato il curatore del rapporto, Federico Spandonaro. Ma «questo approccio non sembra essere più sostenibile. Quello sin qui realizzato è un universalismo crescentemente diseguale». Per girare definitivamente pagina.
Roberto Turno – Il Sole 24 Ore – 30 ottobre 2015