Beniamino Bonardi. Uno studio coordinato da ricercatori svedesi e danesi, pubblicato dalla rivista PLOS One, ha indagato sulla differenza nella resistenza agli antibiotici tra suini allevati in modo biologico e quelli cresciuti in modo convenzionale. L’obiettivo dello studio verificare la presenza di altri fattori, oltre al minor uso di antibiotici negli allevamenti biologici, in grado di influenzare l’antibiotico resistenza. L’indagine, a differenza di altre, non è stata condotta a livello regionale ma in quattro paesi: Danimarca, Francia, Italia e Svezia.
Nell’Unione europea, gli allevamenti bio sono sottoposti a maggiori restrizioni per quanto riguarda l’utilizzo degli antibiotici e varie sostanze chimiche, presentano una diversa struttura della mandria, una dieta differenziata oltre a mettere a disposizione l’accesso ad aree esterne.
Lo studio ha esaminato in che modo queste differenze contribuiscono a determinare una minor resistenza agli antibiotici nei suini. Nei quattro paesi oggetto della ricerca, la percentuale di resistenza del batterio dell’Escherichia coli intestinale ad ampicillina, streptomicina, sulfamidici o trimetoprim è risultata significativamente più bassa nei suini biologici. In Francia e in Italia, è stata rilevata una minore resistenza significativa anche a cloramfenicolo, ciprofloxacina, acido nalidixico o gentamicina. In nessun paese è stata riscontrata resistenza alla cefotaxima.
Gli autori delle studio evidenziano come in ciascuno dei quattro paesi analizzati la resistenza agli antibiotici del batterio dell’Escherichia coli intestinale è risultata meno frequente nei suini biologici, anche se con evidenti differenze all’interno di ciascun sistema produttivo. Tutto ciò indica che la comparsa della resistenza è influenzata da fattori specifici, relativi sia al paese sia all’allevamento.
Il Fatto alimentare – 15 luglio 2016