Comunque vada a finire, per gli agricoltori europei sarà una stangata. Senza stanziamenti aggiuntivi, il buco di bilancio che si aprirà con l’uscita del Regno Unito dalla Ue peserà sulla futura Politica agricola comune. Forse, e questa è la vera novità degli ultimi giorni, anche prima del 2020, anno di scadenza naturale del bilancio pluriennale della Ue e di entrata in vigore della riforma Pac in discussione a Bruxelles e legata a doppio filo al braccio di ferro sul budget.
Il vicepresidente della Commissione, Jyrki Katainen, lo ha detto chiaramente nei giorni scorsi: «I 27 Stati membri dovranno decidere se aumentare i rispettivi contributi finanziari o, in alternativa, disporre una riduzione degli stanziamenti per la Pac». Allo studio dell’esecutivo Ue c’è anche l’ipotesi di anticipare la conclusione del quadro finanziario pluriennale, per farla coincidere con l’uscita del Regno Unito, prevista nella primavera del 2019, per far quadrare i conti della nuova Ue a 27.
Nella migliore delle ipotesi mancheranno all’appello 5 miliardi di contribuzione netta, forse 7 (nonostante il mitico rebate britannico il saldo negativo per Londra ha raggiunto negli ultimi anni anche 9 miliardi). Considerando che la politica agricola assorbe il 40% dell’intero bilancio Ue, sono 2 miliardi in meno ogni anno, tra aiuti diretti e sviluppo rurale. Per l’Italia il conto potrebbe essere anche più salato, essendo, insieme a Germania e Francia, tra i grandi contribuenti netti. A complicare ulteriormente il quadro dei negoziati c’è poi la richiesta pressante dei «nuovi» Stati membri dell’Europa Centrale e Orientale, guidati dalla Polonia, di una sostanziale redistribuzione dei fondi – 55 miliardi annui – sulla base della superficie agricola a livello nazionale. Un criterio che farebbe perdere altre posizioni all’Italia.
La riforma Pac è stata al centro dell’ultimo giorno della Conferenza economica della Cia-Agricoltori italiani che si è chiusa ieri a Bologna, insieme ai temi del ruolo degli immigrati nello sviluppo delle imprese agricole (in Italia sono oltre 25mila i titolari stranieri) e della tutela dei redditi dei produttori, in calo dell’8% contro una media Ue del 2. «La Pac post 2020 deve favorire una crescita inclusiva che possa ridare fiducia ai cittadini europei. Ciò vuol dire investire nei territori e sostenere lo sviluppo socio-economico delle aree rurali – ha sottolineato l’associazione –. Gli agricoltori devono poter continuare a svolgere la preziosa funzione di gestione delle terre, e per questa attività hanno bisogno di incentivi ad hoc, soprattutto nelle aree più marginali dove l’agricoltura rappresenta spesso l’unico freno allo spopolamento».
La priorità, secondo il presidente della Cia, Dino Scanavino, è realizzare un nuovo modello di sviluppo che privilegi gli investimenti nelle aree rurali, dove l’inclusione degli immigrati «oltre che possibile è utile e necessaria». Un’azienda agricola italiana su tre conta almeno un lavoratore straniero, che spesso è l’amministratore dell’impresa. «Nel nostro Paese creano ricchezza – ha ricordato Scanavino –, versando nelle casse dello Stato oltre 11 miliardi tra oneri fiscali e previdenziali. Il loro apporto, in termini di specializzazione e innovazione, li rende ormai indispensabili all’interno del tessuto imprenditoriale, per garantire la tenuta e la crescita produttiva del made Italy agroalimentare in tutto il mondo». Sui redditi la Cia ha rilanciato la necessità di «creare accordi sinergici tra agricoltura, artigianato, commercio, logistica ed enti locali per costruire un percorso virtuoso intorno alle produzioni agroalimentari. Un patto per dare vita a reti d’impresa territoriali capaci di mettere in trasparenza l’intera filiera».
Ieri intanto la Commissione europea ha adottato la proposta che prevede una riduzione lineare degli aiuti diretti Pac nel 2018, per finanziare la riserva anticrisi. Si tratta della cosiddetta disciplina finanziaria che ogni anno, attraverso un taglio dei pagamenti agli agricoltori, assicura un fondo di circa 450 milioni da destinare a interventi urgenti in caso di gravi crisi di mercato in singoli settori. La riduzione proposta per il prossimo anno è dell’1,38% circa, con una franchigia per gli aiuti sotto i 2mila euro. Solo un antipasto dei tagli futuri.
Alessio Romeo – Il Sole 24 Ore – 2 aprile 2017