di Tino Oldani. Insieme alla democrazia, gli Stati Uniti hanno sempre avuto la fissazione di esportare anche gli Ogm (Organismi geneticamente modificati). Risultati? Fallimentari per la Casa bianca, ma ottimi per le multinazionali Usa delle sementi biotech. Un caso da manuale è stato l’Iraq del dopo Saddam Hussein.
Era il 2003. Paul Bremer, appena insediato dal presidente George W. Bush come plenipotenziario del nuovo Iraq «democratico», emanò una serie di leggi che cambiarono in modo drastico l’intero paese. Licenziò circa 500 mila dipendenti dello Stato, privatizzò le 200 aziende pubbliche, e con l’ordinanza numero 81 vietò ai contadini di «riutilizzare i semi delle varietà protette».
Quest’ultima disposizione passò quasi inosservata, poiché si accompagnava agli aiuti agricoli che gli Stati Uniti inviarono per ripristinare le coltivazioni distrutte dalla guerra. Tali aiuti erano sementi Ogm gratuite, fino ad allora sconosciute in Iraq. Ma nel giro di due-tre anni i prezzi delle sementi aumentarono e gli agricoltori furono costretti a comprarle dalle multinazionali, poiché le produzioni Ogm non danno sementi. Obbligati così a sottoscrivere contratti capestro, di durata ventennale, con le multinazionali Monsanto, DuPont e Cargill, i contadini iracheni si trovarono ben presto strangolati dal costo delle royalties. Un’imposizione che ha contribuito non poco ad alimentare il sentimento antiamericano nell’Iraq del dopo Saddam.
Da Bush jr a Barack Obama è cambiato qualcosa? Non si direbbe. Nel marzo 2013 Obama ha addirittura firmato il Monsanto Protection Act, una legge demenziale che per fortuna è rimasta in vigore per soli sei mesi. L’aspetto più incredibile? Stabiliva che se le future ricerche avessero dimostrato la pericolosità per la salute umana degli Ogm Monsanto e la loro responsabilità in alcune patologie (tumori, disturbi endocrini, malformazioni genetiche), nessuna corte federale avrebbe potuto fermare la loro produzione, vendita e utilizzo. In pratica si assicurava alla Monsanto l’immunità giudiziaria: un’enormità giuridica, scritta da un deputato repubblicano sotto dettatura della stessa multinazionale, che risultò intollerabile perfino ai liberal Usa, tanto che il Congresso fece decadere la legge nel settembre dello stesso anno.
Ciò non toglie che gli Ogm sono tuttora completamente liberi negli Usa, dove sono stati equiparati ai prodotti naturali, equivalenza sancita per legge nel 1992. Prove scientifiche dell’equivalenza? Nessuna. Basta l’autocertificazione delle società produttrici. E non deve essere un caso se le campagne elettorali di molti politici di primo piano, ministri compresi, ricevono tuttora generose donazioni dalla Monsanto.
Esportare gli Ogm anche sul ricco mercato europeo è da decenni un obiettivo dichiarato degli Stati Uniti. E il trattato Ttip, volto a liberalizzare commercio e investimenti sulle due sponde dell’Atlantico, sembra presentarsi ora come il cavallo di Troia ideale. Ne ha dato plateale conferma lo stesso segretario Usa all’Agricoltura, Tom Vilsack, che nel giugno scorso è venuto a battere i pugni sui tavoli della Commissione Ue a Bruxelles nel tentativo di sbloccare le trattative, incagliate proprio su questo punto. L’opposizione dell’Europa agli Ogm e alla carne agli ormoni, ha sostenuto, costituisce «una barriera non scientifica» che ostacola la libertà di commercio. L’Europa, dichiarò Vilsack, deve «ripensare il no ai cibi Ogm, alle carni di animali allevati con gli ormoni e ai polli lavati con docce di candeggina dopo l’abbattimento. Ripensare e armonizzarsi con le regole del libero mercato Usa».
L’allora commissario europeo all’Agricoltura, il rumeno Dacian Ciolos, gli rispose con un secco no: mai e poi mai, disse, il Ttip potrà essere usato per aprire le porte dell’Ue agli Ogm e a tutto il resto. Ora la decisione definitiva è nelle mani della nuova Commissione guidata da Jean Claude Juncker, dove il commissario all’agricoltura è Phil Hogan (Ppe), irlandese. L’Irlanda, insieme all’Italia, è tra i 19 Paesi Ue (su 28) che in febbraio si dichiararono contro gli Ogm. In votazione, allora, c’era il loro processo autorizzativo, che però si bloccò non tanto per i 5 Paesi a favore degli Ogm (Gran Bretagna, Spagna, Finlandia, Estonia e Svezia), ma per l’astensione di 4 Paesi (Germania, Portogallo, Repubblica Ceca e Belgio), in quanto il meccanismo dei pesi assegnati ai vari Paesi fece sì che il voto tedesco bloccasse tutto, impedendo un no definitivo agli Ogm.
Sorpresona: sul voto neutrale dei tedeschi, rivelò lo Spiegel on line, aveva influito il parere di Angela Merkel, che da scienziata (ha studiato fisica) vede con favore gli Ogm, ma non può andare contro la volontà dei tedeschi, che per l’88% sono contrari, come lo sono tutti i Laender. Ora la partita ricomincia da quel voto, con un’incognita in più sul Ttip: il nuovo commissario Ue per il Commercio è la svedese Cecilia Maeslstrom (Alde, liberale), e la Svezia è pro-Ogm.
Italia Oggi – 13 settembre 2014