Il «vecchio» Tfr batte per rendimento i fondi pensione; i Bot vincono la sfida sui fondi comuni d’investimento. Il ventunesimo rapporto dell’Ufficio studi Mediobanca su «Fondi e sicav italiani» conferma che soprattutto in un periodo come l’attuale, con mercati caratterizzati da incertezza e volatilità, tradizione e semplicità sembrano ancora avere la meglio sui risultati offerti dal risparmio gestito. Industria, quest’ultima, che in Italia non sembra più godere di una grande popolarità. Basti pensare che i fondi, nati nel nostro Paese nel 1984, hanno raggiunto nel 1999, con una progressione da boom di sottoscrizioni, un patrimonio pari al 42,2% del Pil italiano, per poi cominciare un lungo cammino di «riscatti», cioè di uscite nette, che ha portato nel 2011 (insieme alle performance negative) la quota sul Prodotto interno lordo all’8,3%.
In cifre: dopo che l’anno scorso le uscite hanno superato gli investimenti per 27 miliardi, il patrimonio dei 956 fondi indagati dall’Ufficio studi Mediobanca è sceso a 188 miliardi. Ciò significa che l’Italia dei fondi comuni aperti (che costituiscono il 66% circa del patrimonio complessivo della categoria) nel 2004 era quarta al mondo mentre ora si piazza al tredicesimo posto davanti alla Svezia ma dietro alla Spagna.
Il 18% circa dei fondi nel nostro Paese è rappresentato da quelli pensione, che in Italia sono ancora quasi esclusivamente negoziali, cioè di categoria. Poiché i versamenti sono in gran parte automatici, la raccolta netta nel 2011 dei fondi pensioni è stata positiva per 3,9 miliardi. Fatto 100 l’anno Duemila, i fondi negoziali hanno chiuso il 2011 cumulando un rendimento del 27,1% contro una rivalutazione del Tfr (esente da rischi) pari al 34,8%. Facendo riferimento solo agli ultimi cinque anni, quelli cioè successivi alla crisi avviata nel 2007, la rivalutazione del Tfr è stata del 14,6%, pari quindi al doppio di quanto hanno reso i fondi pensione di categoria. I confronti certo non giocano a favore nemmeno per i fondi comuni in generale, che nel 2011 hanno perso il 2,2%. L’Ufficio studi Mediobanca valuta i rendimenti sul lungo periodo. Così i fondi comuni aperti dalla loro «nascita», cioè dal 1984, hanno reso al netto delle imposte il 349,2%, il 6,6% l’anno, contro il 455%, il 6,2% in media l’anno, dei Bot a 12 mesi che, se non sono più considerati come una volta risk free , sono però l’investimento a rischio più basso. Limitando il confronto ai soli obbligazionari, i rendimenti si avvicinano, visto che per questi ultimi strumenti la media annua è pari al 6,1%. Se però si restringe il periodo di riferimento negli ultimi 10 anni, i fondi hanno reso in media lo 0,7% l’anno contro il 2,3% dei Bot, mentre sui cinque anni la performance media dei fondi diventa pari a zero contro il 2,3% dei Bot. Ciò significa che, viene sottolineato nel rapporto, sulla base del tasso risk free il frutto dei fondi aperti mette in evidenza una distruzione di valore di circa 90 miliardi nell’ultimo decennio.
Nonostante ciò i costi di gestione restano fermi all1,2% del patrimonio con punte del 2,2% nel comparto azionario: quasi tre volte rispetto ai fondi Usa. E la rotazione del portafoglio avviene ogni 8 mesi, contro una media dei fondi Usa poco al di sotto dei due anni. Il quadro non appare cambiato nei primi tre mesi del 2012: c’è stato un nuovo deflusso dai fondi aperti di diritto italiano con riscatti netti pari a 5,4 miliardi. I fondi cosiddetti roundtrip , cioè quelli promossi all’estero da gestori italiani, hanno segnato un volume di sottoscrizioni nette pari a 1,9 miliardi. Il fenomeno dei roundtrip , per nove decimi di diritto lussemburghese e che fino a qualche tempo fa godevano di una forma di tassazione più favorevole, è e resta comunque importante visto che alla fine del 2011 questi costituivano il 52% del patrimonio dei fondi aperti seguiti da gestori italiani.
Corriere.it – 4 agosto 2012