Studio della Fondazione Agnelli: la triennale fa trovare lavoro, ma con stipendi sempre più bassi
ROMA- I”nuovi laureati” sono aumentati rispetto ai “vecchi”, e per la gran parte provengono da famiglie che non hanno mai conosciuto l’università. Ma—unavoltatrovata occupazione — guadagnano meno dei predecessori, e minimo appare il vantaggio retributivo nel confronto con i diplomati. Fine di un’illusione? A I nuovi laureati è dedicato il rapporto della Fondazione Giovanni Agnelli che sarà presentato oggi pomeriggio alla Laterza dal direttore Andrea Gavosto e dal ministro Elsa Fomero. È il primo tentativo di fare un bilancio della”riforma del più 2″ alla prova del mercato del lavoro. Sulle “luci” —l’allargamento della base sociale e l’aumento della percentuale di laureati nella popolazione — sembrano prevalere le “ombre”. Un parziale fallimento testimoniato anche dalla recente riduzione delle immatricolazioni dopo lo spettacolare picco dell’esordio, segno della disillusione delle famiglie. Inutile dunque prendere una laurea? Conclusione frettolosa e sbagliata, suggerisce il rapporto. Laurearsi significa avere maggiori probabilità di impiego. Occorre però che università e imprese facciano molto meglio. I”nuovi laureati” triennali sono ancora all’inizio del loro percorso professionale. Prematuro, forse, tracciarne un’analisi. Ma alcuni indizi sono sufficienti per correggere radicati cliché. L’università come fabbrica di disoccupati intellettuali? No, questo non è vero. Con la nuova laurea triennale si trova lavoro. E si trova anche di più rispetto aprirne, soprattutto a cau-sa dei contratti flessibili. Ma le condizioni sono molto meno favorevoli nel confronto con la vecchia laurea Se al principio di questo decennio un laureato guadagnava il 20% in più rispetto a un diplomato, oggi il vantaggio è ridimensionato (14%), e peri giovani al di sotto dei 35 anni è calato al 9 per cento. In altre parole, per assicurarsi un impiego i “nuovi laureati” hanno dovuto accettare mansioni vicine a quelle d’un diplomato. Tutto questo a favore delle imprese? Si potrebbe supporre di sì. I “nuovi laureati” dovrebbero disporre di maggiori conoscenze rispetto ai colleghi diplomati, a tutto vantaggio della produttività dell’azienda. Ma in realtà questo non succede. «La produttività del sistema Italia», si legge nel rapporto, «è stata molto deludente proprio negli anni in cui aumentava l’accumulazione del” capitale umano”». Le conclusioni sono poco rassicuranti: “l’accumulazione” era solo apparente, «dovuta alla classificazione nella categoria di”laureato” di lavoratori in realtà meno qualificati rispetto ai predecessori». In altre parole, il profilo delle competenze dei “nuovi laureati” non risulta adatto alle esigenze del mercato.
Fin qui le responsabilità sembrano ricadere sull’Università, più attenta alla protezione degli interessi accademici che alle esigenze formative degli studenti. Ma il rapporto della Fondazione Agnelli non assolve neppure le imprese, che tendono a prediligere le lauree magistrali, rinunciando a promuovere la formazione. «Ancora percepiscono in modo confuso le novità della riforma», dice Gavosto, «non distinguendo tra un titolo e l’altro etra un’università e l’altra». Conclusione del rapporto. Di ampliamento degli accessi c’era e c’è bisogno. L’Italia si presentava —e ancora si presenta—con tassi di iscrizione e di conseguimento di titoli universitari assai inferiori alla media europea e dei paesi Ocse. Ma occorrerebbe distinguere tra le diverse funzioni del sistema universitario, tra la formazione generale di base triennale, la formazione professionalizzante e la formazione magistrale/dottorale. «Ciascuna richiede competenze diverse e non tutti gli atenei sono in grado di garantirle.Anche l’università italiana ha dunque bisogno di differenziarsi, abbandonando il principio che tutti sanno fare tutto». Senza questa diversificazione, sarà difficile restituire peso alla laurea.
24 gennaio 2912