Cassa integrazione rivista e limitata nel tempo (si punta sostanzialmente sulla Cig ordinaria). Ma anche indennità risarcitorie dopo il licenziamento. E ancora lavoro flessibile più caro e sgravi contributivi per la trasformazione dei contratti precari in lavoro a tempo indeterminato. Sono alcuni dei tasselli del documento che il Governo ha illustrato oggi alle parti sociali nel corso del primo round sulla riforma del mercato del lavoro. Niente ancora è stato messo nero su bianco, ma sarebbero sostanzialmente questi gli assi lungo i quali intende muoversi l’Esecutivo. Il confronto sul mercato del lavoro, ha detto il ministro Elsa Fornero, dovrà concludersi entro 3-4 settimane. Leggi di seguito l’articolo del Sole 24 Ore e l’analisi “Contratti unici e capitale umano” di Chiara Saraceno su Repubblica.
Il Governo vuole andare fino in fondo. Per questo il premier Mario Monti fissa l’orizzonte del tavolo tra esecutivo e parti sociali in corso a Palazzo Chigi. Solo un’introduzione, la sua, prima di volare a Bruxelles per l’Eurogruppo in programma oggi e l’Ecofin di domani, ma i paletti individuati dal professore sono chiarissimi. Innanzitutto strumento e tempi dell’intervento del Governo. «Non si procederà per decreto», spiega Monti ai rappresentanti datoriali e sindacali, «ma i tempi non possono essere lunghi. Voi, forze produttive, avete il mondo dove competere, noi come Governo agiamo in Italia e abbiamo un non facilissimo lavoro da condurre in Europa, spero che il maggiore spazio che stiamo creando per le forze produttive del Paese vi aiuti – aggiunge – a far sì che quello che verrà fuori dal vostro tavolo serva a migliorare la situazione di imprese e lavoratori ma anche a migliorare la situazione dell’Italia nell’Ue».
Quindi il premier torna a ribadire i confini della ricetta che dovrà uscire da questo confronto. «Servono buone soluzioni strutturali per il mercato del lavoro. Spero che si riesca a non ridurre il messaggio che mandiamo sulla riforma del mercato del lavoro solo all’articolo 18». Con un messaggio implicito, ovviamente: dobbiamo guardare oltre l’articolo 18, ma è chiaro che, come aveva detto anche ieri nel salotto tv di Lucia Annunziata, non possono esserci tabù al tavolo con le parti sociali.
Fornero detta i tempi: riforma in 3-4 settimane
Ma è Elsa Fornero, ministro del Lavoro, a sciogliere meglio timing e mission del negoziato che si è aperto oggi. Il confronto sul mercato del lavoro, chiarisce, si dovrà concludere in tre-quattro settimane avvalendosi del coordinamento dell’esecutivo. Tempo un mese, dunque, il Governo dei professori vuole portare a casa anche l’altro, fondamentale capitolo della fase due, dopo il via libera alle liberalizzazioni venerdì scorso.
Stretta sulla Cig e indennità risarcitorie dopo il licenziamento
Nel documento articolato in cinque capitoli oggi sul tavolo dell’incontro di Palazzo Chigi si va innanzitutto verso una revisione del sistema della cassa integrazione con una stretta sull’attuale durata e la sostanziale limitazione alla cassa ordinaria (52 settimane). L’uso della cassa sarà quindi limitatissimo e nei casi in cui si possa riprendere il lavoro rapidamente. Per il resto, dopo l’uscita dall’azienda, ci sarà un’indennità risarcitoria.
Secondo i contenuti fissati dall’Esecutivo, poi, il lavoro flessibile dovrà costare di più mentre la conversione da contratto a tempo determinato a indeterminato sará favorita con la graduazione degli sgravi contributivi anche in rapporto alla formazione svolta.
Verso un contratto calibrato sul ciclo di vita
Per quel che riguarda i contratti, l’obiettivo dell’esecutivo è immutato. Il Governo punta infatti a sfoltire la giungla di modelli contrattuali attualmente esistente e a puntare soprattutto su un contratto “calibrato” sull’età del lavoratore. Il documento illustrato alle parti sociali, prevede infatti una tutela del lavoro «modellato sul ciclo di vita delle persone»: il contratto, in sostanza, evolverà con l’età dei lavoratori. A questi dunque saranno legati i futuri interventi innovativi. Di contratto unico comunque si parlerà solo a fine confronto «se le parti lo vorranno». Ma serve, chiarisce ancora Fornero,«un contratto unico» che «evolve con l’età piuttosto che contratti nazionali specifici che evolvono per ogni età».
Reddito minimo in riforma ma partenza dilazionata
Dunque, è il ragionamento di Fornero, è necessario ridurre le tipologie contrattuali, superando il dualismo del mercato del lavoro. Il ministro chiarisce anche che nella riforma del mercato del lavoro dovrà esserci spazio per il reddito minimo. Ma ci sono problemi di copertura. «Lo schema di reddito minimo richiede risorse ora non individuabili. Per ragioni di bilancio potrebbe essere già individuato in questa riforma, ma – ha detto – l’applicazione normativa potrebbe essere dilazionata».
L’esecutivo propone alle parti sociali l’apertura di tavoli tematici via web
Il Governo ha quindi proposto alle parti sociali di aprire dei gruppi tematici informatici per il prosieguo del lavoro sul riassetto del mercato del lavoro. «È una riforma ambiziosa che non abbiamo la pretesa di fare senza il vostro largo consenso – ha detto secondo quanto si apprende chiudendo il suo intervento -. È dovere di questo governo portare tutti a discutere non per conservare l’esistente, ma per il futuro, per la crescita e per l’Europa. Il modo in cui declineremo queste linee di tendenza dipenderà da voi».
Ilsole24ore.com – 23 gennaio 2012
L’analisi/ Contratti unici e capitale umano. A tempo indeterminato, ma con un periodo di prova di tre anni
LA RIDUZIONE dei circa 40 tipi diversi di contratto di lavoro legalmente possibili oggi in Italia, e l’introduzione di un contratto unico con tutele progressive, è sicuramente una proposta attraente dal punto di vista della civilizzazione dei rapporti di lavoro e della riduzione delle disuguaglianze tra lavoratori. Non è affatto sicuro che riduca la temporaneità di fatto dei contratti, che è uno degli obiettivi espliciti dei proponenti.
E’ vero, infatti, che il contratto unico sarebbe a tempo indeterminato. Ma in cambio di un periodo di prova di fatto allungato fino a tre anni. Durante questo periodo, secondo le proposte in circolazione, il lavoratore può essere licenziato senza vincoli di alcun tipo, salvo quelli che puniscono il comportamento discriminatorio da parte del dato re di lavoro. In caso di licenziamento con motivazioni diverse dalla giusta causa, il datore di lavoro è tenuto a pagare un indennizzo, pari a 15 giorni di stipendio ogni trimestre lavorato, secondo la proposta di Boeri e Garibaldi ripresa nel disegno di legge Nerozzi e messa ufficialmente sul tavolo della trattativa Al lavoratore licenziato senza giusta causa allo scadere dei tre anni spetterebbe un’indennità pari a sei mesi di stipendio. Questo obbligo di indennizzo, oltre ad offrire un cuscinetto di protezione per il lavoratore che perde il lavoro e il reddito, dovrebbe costituire un deterrente ai licenziamenti, divenuti costosi per il datore di lavoro. La proposta prevede anche l’impossibilità di ricorrere al trucco, molto utilizzato da diversi imprenditori, di licenziare e riassumere, per impedire sia la maturazione dei tre anni, sia di raggiungere il massimo dell’indennità. Ad ogni riassunzione si parte dal livello di anzianità di servizio raggiunto prima del licenziamento. In un Paese con una classe imprenditoriale matura, che investe nella propria forza lavoro e che considera uno spreco di risorse un turn over troppo accentuato della propria forza lavoro, questo modello contrattuale apparirebbe ragionevole ed equilibrato. Le aziende, avendo un periodo di prova lungo in cui valutare, ma anche formare, chi hanno assunto, a meno che proprio non ne abbiano più bisogno per motivi economici e di mercato, se li terrebbero per non vanificare l’investimento fatto. Proprio i comportamenti delle imprese di questi anni inducono invece ad un po’ di pessimismo. Si pensi all’uso sfrenato che è stato fatto di ogni opportunità di utilizzo usa e getta della forza lavoro, anche di quella più qualificata, alla rincorsa che c’è stata alle forme contrattuali più precarie, al punto che in alcune zone oggi non si fa più neppure il contratto a tempo determinato, o stagionale, ma si utilizzano i buoni lavoro, che non richiedono nessun contratto. Il rischio è che i contratti unici a tempo indeterminato vengano utilizzati invece come contratti a tempo determinatissimo, cortissimo, con un turn over ancora maggiore di quello cui abbiamo assistito negli ultimi anni: invece di rinnovare brevi contratti a termine alle stesse persone faranno contratti unici che dureranno poco a persone sempre diverse.
Questo pessimismo non deve indurre ad abbandonare la strada del contratto unico. Piuttosto dovrebbe suggerire la necessità di introdurre di vincolo al rapporto tra numero di contratti rescissi e avviati nell’arco di un anno, oltre a qualche controllo su iniziative ben note di imprenditoria creativa, quali la scomposizione di una società in società diverse, in modo che i lavoratori licenziati da una possano essere riassunti da un’altra, figliata dalla prima, interrompendo ogni vincolo di continuità. già successo per fruire di misure di fiscalità di vantaggio odi incentivi. Può succedere di nuovo per aggirare i vincoli del contratto unico. Se la creatività della classe imprenditoriale italiana si applicasse ai prodotti e ai processi produttivi con altrettanta intensità di quella sfoggiata nell’utilizzare le possibilità offerte dai contratti di lavoro per non investire nel capitale umano, forse avremmo minori problemi di competitività in Europa e nel mondo.
Chiara Saraceno Repubblica.it – 23 gennaio 2012