La Stampa. La priorità del nuovo governo, per Giorgia Meloni, oggi è una sola: mettere un argine al caro-energia e al caro-prezzi e accelerare in ogni modo la diversificazione delle fonti di approvvigionamento e la produzione nazionale. Per questo, ha spiegato ieri la premier durante il suo discorso alla Camera, «sarà necessario mantenere e rafforzare le misure nazionali a supporto di famiglie e imprese, sia sul versante delle bollette sia su quello del carburante. Un impegno finanziario imponente – ha rimarcato – che drenerà gran parte delle risorse reperibili, e ci costringerà a rinviare altri provvedimenti che avremmo voluto avviare già nella prossima legge di bilancio».
Il contesto nel quale si troverà ad agire il governo «è molto complicato, forse il più difficile da secondo dopoguerra»: per il prossimo anno si profila un rischio recessione, occorre rispettare i vincoli di bilancio e questo suggerisce, inevitabilmente, di mettere da parte il libro dei sogni. Ciò non toglie che l’esecutivo possa intervenire (con qualche ritocco) su fisco e pensioni, metta mano al reddito di cittadinanza e poi voglia difendere le infrastrutture strategiche nazionali («assicurando la proprietà pubblica delle reti»), tornare ad avere una politica industriale, investire sulle infrastrutture al Sud, supportare le imprese, semplificare e sburocratizzare, attrarre gli investimenti esteri per rafforzare la crescita e tenere sotto controllo il debito pubblico. Ovviamente, poi, i soldi del Pnrr vanno «spesi bene», «senza ritardi e senza sprechi», «concordando con la Commissione europea gli aggiustamenti necessari per ottimizzare la spesa, soprattutto alla luce dei rincari di energia e materie prime». E se da Bruxelles il Commissario Paolo Gentiloni fa presente che «è impensabile ricominciare da zero» e che le modifiche sono ammesse «solo in casi eccezionali», lei risponde di «non capire perché nulla sia intoccabile» visto che «senza correzioni c’è il rischio che le gare vadano deserte».
Caro-energia e inflazione galoppante, innanzitutto, obbligano il nuovo governo a studiare altri aiuti a favore delle famiglie da introdurre nella prossima legge di Bilancio. Per aumentare il reddito si punterà così a ridurre le imposte sui premi di produttività e a potenziare “fringe benefit” e welfare aziendale. E poi si cercherà di allargare la platea dei beni primari che godono dell’Iva ridotta al 5%. Sul fisco Meloni punta invece ad un «patto fiscale» articolato su tre pilastri: il primo riguarda la riduzione della pressione fiscale e riforma dell’Irpef con una progressiva introduzione del quoziente familiare, l’estensione da 65 a 100 mila euro di fatturato della tassa piatta per le partite Iva e l’introduzione di una tassa piatta anche sugli aumenti di reddito degli altri contribuenti rispetto all’ultimo triennio. Quindi una tregua fiscale per consentire a cittadini e imprese in difficoltà di regolarizzare la propria posizione ed infine una serrata lotta all’evasione. Quanto alla riduzione del cuneo fiscale, chiesto da tempo da imprese e lavoratori, la premier si dà come obiettivo quello di «intervenire gradualmente» per arrivare a un taglio di almeno 5 punti. Oltre a questo, per incentivare le aziende ad assumere, si studiano sconti fiscali all’insegna del «più assumi, meno paghi». In tema di pensioni, invece, si punta a «facilitare la flessibilità in uscita con meccanismi compatibili con la tenuta del sistema previdenziale, partendo, nel poco tempo a disposizione per la prossima legge di Bilancio, dal rinnovo delle misure in scadenza a fine anno».
Anche «la povertà dilagante» è in qualche modo una priorità, «un tema che non possiamo ignorare», ma è comunque intenzione del governo mettere mano al reddito di cittadinanza. Meloni vuole infatti a «mantenere e, laddove possibile, aumentare il doveroso sostegno per i soggetti effettivamente fragili non in condizioni di lavorare», mentre per chi è in grado di lavorare «la soluzione non può essere il reddito di cittadinanza, ma il lavoro, la formazione e l’accompagnamento al lavoro. Perché per come è stato pensato e realizzato – ha poi aggiunto la premier – l’Rdc ha rappresentato una sconfitta per chi era in grado di fare la sua parte per l’Italia, oltre che per se stesso e per la sua famiglia».
La nuova «Melonomics» piace a Confindustria (il presidente Bonomi apprezza soprattutto le parole su Europa, lavoro e imprese) e piace ai commercianti, che approvano l’idea di rafforzare le misure contro il caro-energia. I sindacati, invece, hanno rinnovato la richiesta di aprire subito un confronto sulle misure contro inflazione e caro-bollette e sulla riforma delle pensioni. La Cgil è contraria all’ipotesi di una tregua fiscale perché, sostiene Maurizio Landini, suona come un condono. «Non è la strada da seguire, la priorità – insiste – è il reddito dei lavoratori»