Verifica triennale della sostenibilità dei bilanci a cinquant’anni; compartecipazione alla spending review, versando ogni anno al bilancio dello Stato un contributo pari al 15% delle spese intermedie sostenute dall’ente nel 2010; necessità di tenere conto del calo dei redditi degli iscritti e dell’opportunità di potenziare il welfare per aiutarli a superare sempre più diffuse situazioni di difficoltà.
Inoltre per le Casse di previdenza dei professionisti da quest’anno si aggiunge la tassazione al 26% sui redditi finanziari e la prospettiva di dover dismettere parte del patrimonio immobiliare (si veda l’articolo sotto). Il 2015 degli enti previdenziali privatizzati si annuncia piuttosto complicato. Dopo la prima elaborazione della sostenibilità dei bilanci a cinquant’anni effettuata nel 2012, in conseguenza del decreto legge 201/ 2011, quest’anno scatta la verifica triennale, a seguito della quale le singole Casse potrebbero dover adottare dei correttivi, tenendo conto però della sostanziale impossibilità di intervenire sulle pensioni già i n pagamento, come ribadito più volte da diverse sentenze della Cassazione.
Ma l’elenco delle novità non è finito qui. Renzo Guffanti, presidente della Cassa di previdenza dei commercialisti segnala che l’aumento dell’imponibilità dell’Ires sui dividendi societari può impattare «in modo significativo e reiterato, sulla falcidia dei rendimenti ottenuti dagli investimenti» effettuati dalle Casse per ottenere la rivalutazione dei contributi e la possibilità di erogare le pensioni. La legge di Stabilità, infatti, ha modificato il regime di tassazione dei dividendi percepiti dalle Casse che ora sono imponibili ai fini Ires per il 77,74% invece del 5% precedente. Ciò determina un balzo del prelievo dall’1,38 al 21,38 per cento.
Entro poche settimane, inoltre, dovrebbe essere messo a punto il decreto del ministero dell’Economia contenente l’elenco degli investimenti che danno diritto al credito d’imposta del 6% “compensativo” dell’aumento della tassazione dal 20 al 26 per cento. Una compensazione che peraltro non potrà superare complessivamente gli 80 milioni di euro. E proprio su questo punto dalle Casse iniziano a emergere considerazioni e orientamenti.
«Chi ci vigila – osserva Alberto Oliveti, presidente della Fondazione Enpam, l’ente di previdenza di medici e odontoiatri – da un lato ci richiama a investire bene in base alle regole classiche di valutazione della qualità e della diversificazione delle scelte, dall’altra ora ci invita a concentrare investendo sul sistema Italia che peraltro è in difficoltà, ma faremo la nostra parte». Con queste premesse e auspicando che il ministero convochi e tenga conto delle osservazioni delle Casse nel definire il decreto, Oliveti evidenzia l’utilità per l’Enpam di investire nell’ambito del sistema sanitario, magari in residenze sanitarie assistenziali o in operazioni propedeutiche a promuovere la ricerca nell’ambito delle biotecnologie, cioè in campi attinenti a quello in cui operano i suoi iscritti, «investimenti che si potrebbero fare anche a prescindere dal credito fiscale».
E proprio la scarsa attrattività della compensazione ideata dal legislatore è sottolineata da Renzo Guffanti: «l’esistenza del credito di imposta sarà ininfluente rispetto alle politiche di investimento. Sceglieremo operatori fidati e che possano offrire buoni risultati. Se poi parte degli investimenti darà diritto alla detassazione ciò costituirà un risarcimento minimo rispetto alle difficoltà con cui dobbiamo confrontarci».
Dubbi sulla concreta possibilità di fruire del credito d’imposta sono sollevati dalla Cassa ragionieri che al momento non ha flussi finanziari significativi da investire secondo quanto richiesto dalla norma e dovrebbe quindi ridurre in modo sensibile il patrimonio immobiliare. In compenso ha già calcolato in 220 milioni su 50 anni l’impatto della nuova aliquota. «La sensazione è – afferma il vicepresidente Giuseppe Scolaro – che l’aggravio impositivo lascerà sempre minori margini di manovra per il miglioramento dell’adeguatezza della prestazione futura».
Taglio agli immobili per 800 milioni
Fino a 800 milioni di euro di immobili sul mercato nei prossimi cinque anni. È questo l’impatto stimato della tagliola sugli investimenti delle Casse di previdenza che entrerà in vigore con l’approvazione dello schema di regolamento che attua il Dl 98/2011: l’articolo 9, comma 4, impone agli enti di contenere i capitali direttamente impegnati in beni immobili e diritti reali entro il tetto del 20% del patrimonio complessivo. L’obiettivo è rendere più sostenibili i bilanci.
Terminata la fase di consultazione pubblica sul provvedimento, è attualmente in corso l’istruttoria per eventualmente accogliere alcune delle numerose proposte di modifica pervenute, fanno sapere dal ministero delle Finanze. Come previsto dall’articolo 13, comma 4 del regolamento, la prima data utile per l’entrata in vigore delle nuove limitazioni sarà il prossimo 1° luglio, sempre che il vaglio del Consiglio di Stato e la successiva registrazione presso la Corte dei conti non facciano tardare l’emanazione. A quel punto gli enti avranno 5 anni per mettersi in regola e dismettere le eventuali proprietà in eccedenza. Tempi più stretti, invece, per il tetto sugli investimenti indiretti: in base al provvedimento anche i capitali impegnati nei fondi immobiliari chiusi (Oicr non armonizzati) non dovranno superare il 30% delle disponibilità complessive e, in questo caso, ci sono solo 18 mesi di tempo per aggiustare i conti.
In base all’analisi dei bilanci consuntivi 2013 di venti Casse di previdenza, elaborata da Scenari Immobiliari per il Sole 24 Ore, solamente un quarto degli istituti monitorati (in tutto venti, si veda la tabella in basso) sfora il tetto del 20% sugli investimenti immobiliari diretti: la norma imporrebbe a Fondazione Enasarco, Fondazione Enpaia, Inpgi, Onaosi e Cassa nazionale del Notariato di cedere complessivamente proprietà per circa 550 milioni di euro.
La stima sale fino a 800 milioni se poi si considerano gli ultimi dati Covip, a cui ora spetta la vigilanza anche sulle Casse, diffusi lo scorso maggio e che prendono in considerazione anche i bilanci degli enti di cui al decreto legislativo 103/1996 (aggiornati, però, al 2012): le attività detenute in immobili arrivano a toccare il 21% degli asset posseduti su un patrimonio complessivo che supera i 61 milioni di euro. Nel mirino anche i 6,5 miliardi investiti in maniera indiretta nel mattone attraverso i fondi immobiliari, corrispondenti al 10,4% delle attività complessive, ma ben oltre il 70% degli Oicr non armonizzati imposto dalla nuova normativa.
«Sebbene la quota di investimenti diretti in immobili sfori di poco la soglia del 20%, il peso delle attività legate al real estate risulta cospicuo», sottolinea Daniela Percoco, responsabile ricerca dell’advisor immobiliare Reag. Restano ancora dubbi, inoltre, alcuni aspetti tecnici del nuovo regolamento: non è chiaro se le soglie vadano calcolate in base ai valori di mercato oppure ai costi storici inseriti in bilancio, né se il patrimonio a cui fare riferimento debba considerare solo le attività, le immobilizzazioni oppure i valori netti.
In particolare, in base alle analisi condotte da Reag (che tengono in considerazione sia gli immobili detenuti direttamente sia i fondi e le partecipazioni immobiliari), per due enti previdenziali questi investimenti si collocano intorno al 40% delle attività totali detenute; per altri quattro la quota è compresa fra il 50 e il 62 per cento. Per non farsi trovare impreparate, le Casse hanno già adottato correttivi: sono in corso dal 2008,ad esempio, le dismissioni di Enasarco e proseguono i conferimenti a fondi chiusi di Ragionieri e Notariato.
«Il mercato immobiliare – conclude l’analista di Reag – in questa fase fatica ad assorbire dismissioni così massive. Il patrimonio va gestito e reso efficiente, è questa la vera sfida. Il rischio è che la corsa ai fondi immobiliari per affidarsi a operatori specializzati sposti solamente gli investimenti diretti nel mattone alla forma indiretta».
Il Sole 24 Ore – 19 gennaio 2015