Più che arrabbiati per i bassi stipendi, sono stanchi per il troppo lavoro e impauriti per i tagli presenti e futuri alle loro pensioni. Così quasi la metà dei medici pensa di mettersi a riposo. Intanto, spazzati via giovedì i mille emendamenti presentati dalle opposizioni, con l’ultimo sì della Camera arriva il via libera definitivo alla legge di Bilancio per il 2024.
Più che arrabbiati per i bassi stipendi, sono stanchi per il troppo lavoro e impauriti per i tagli presenti e futuri alle loro pensioni. Così quasi la metà dei medici pensa di appendere in anticipo il camice bianco al chiodo per mettersi a riposo. Anche se a preoccupare è soprattutto quel terzo abbondante che se tornasse indietro non sceglierebbe più di iscriversi a medicina e quel 12 e passa per cento che addirittura oggi pensa di cambiare del tutto mestiere. Mentre l’idea di pagare meglio gli straordinari, come previsto dalla manovra per tagliare le liste d’attesa, è bocciata da nove dottori su dieci.
A sondare l’umore dei nostri camici bianchi, sempre più tentati di dire addio al servizio pubblico, è un sondaggio realizzato da Fadoi, la Federazione dei medici internisti ospedalieri, su un campione rappresentativo di tutte le regioni italiane.
L’idea di tagliare in anticipo il traguardo della pensione sta passando per la testa del 46,15% di loro. Una percentuale così alta che se pure solo nel 10% dei casi si trasformasse in realtà significherebbe la fuoriuscita anticipata dai nostri ospedali di decine di migliaia di professionisti. Quasi sei su dieci di quelli che pensano alla pensione anticipata lo fanno per la paura di subire un taglio alla propria pensione, magari con misure retroattive come quelle introdotte nella manovra, anche se poi alleggerite con un successivo emendamento. Per il 30,95% la causa invece sarebbero gli eccessivi carichi di lavoro, mentre la bassa retribuzione motiva solo il 2,38% e la voglia di chiudere la carriera all’estero il 9,53%.
Anche chi non è in età di pensione nel 38,71% dei casi sta pensando di lasciare il servizio pubblico. Il 21,82% per andare nel privato, il 4,56% sceglierebbe l’estero, mentre un preoccupante 12,33% di scoraggiati pensa di cambiare del tutto attività. Uno scoramento che trova conferma nel 36,43% di medici che alle condizioni attuali, tornando indietro nel tempo, non sceglierebbe più la stessa professione.
Però le motivazioni di chi si sente ancora legato al servizio pubblico restano forti, con il 59,2% che spiega la propria scelta con la coscienza di voler garantire a tutti il diritto alla salute, seguito dal 17,46% che percepisce ancora come un valore la sicurezza del posto di lavoro, mentre per il 13,66% a non sciogliere il legame con il Ssn è il fatto che le esigenze assistenziali nel pubblico vengano prima delle ragioni economiche. Un altro 9,68% dà invece come motivazione la qualità dei nostri ospedali, che resta ancora alta.
Quasi un plebiscito arriva per l’utilizzo degli specializzandi a copertura dei vuoti in pianta organica, con solo il 21,25% che pensa possano mettere a rischio la qualità dell’assistenza. Per il 56,36% è invece utile purché svolgano le loro attività affiancati da un tutor, mentre per il 22,39% servono, ma sarebbe utile semplificare la burocrazia che ancora vincola il loro utilizzo negli ospedali al parere delle Università.
Non convince infine la formula «straordinari meglio pagati uguale meno liste di attesa», contenuta nella manovra economica, giudicata efficace solo dal 9,87% degli intervistati, mentre per il 41,18% serve assumere personale, per il 19,92% bisognerebbe organizzare meglio le attività in modo da garantire un utilizzo più esteso sia delle apparecchiature diagnostiche che delle risorse umane. A parere del 27,70% andrebbe invece ridotta l’inappropriatezza prescrittiva, mentre appena l’1,33% ricorrerebbe al privato convenzionato per tagliare le liste di attesa. Una carta sulla quale ha invece puntato la legge finanziaria destinando complessivamente ai privati 800 milioni, tra i 280 per l’aumento dell’offerta di prestazioni e i 520 milioni per fare shopping sempre dai privati.
«L’indagine rivela, forse a sorpresa per chi non conosce a fondo la realtà medica, che per continuare a tenere legati i medici al servizio pubblico non servirebbero tanto le più alte retribuzioni, che pure andrebbero almeno avvicinate a quelle europee, quanto piuttosto il miglioramento delle condizioni di lavoro e di carriera, oltre che la garanzia del rispetto dei diritti pensionistici acquisiti», afferma il Presidente di Fadoi, Francesco Dentali. «Certo – prosegue – preoccupa quel 40% che pensa di lasciare il servizio pubblico, ma sono gli stessi medici nelle loro risposte a indicare la via della rinascita: un Ssn che torni a garantire a tutti il diritto alla salute, anteponendo le esigenze assistenziali a quelle economiche, indicate da oltre il 70% dei medici come elemento che ancora li lega al pubblico». Motivazioni dalle quali ripartire per dare un futuro al nostro Servizio sanitario nazionale. —
La Stampa