Se la “tensione” è troppa l’equilibrio psicofisico si spezza. Accade in ufficio come in fabbrica, a manager e operai
MILANO – Carichi di lavoro e ritmi troppo pesanti, il capo che non dà un attimo di tregua, l’ansia di fare tutto in poco tempo e, magari, come se non bastasse, anche la paura di perdere il posto. Prima o poi alla maggior parte di noi è capitato di sentirsi “sotto stress”: non per questo siamo tutti malati. Ma le continue tensioni che s’insinuano tra scrivanie e catene di montaggio possono alla lunga minare la salute psicofisica. E se non si riesce più a reggere un’intensa pressione o si reagisce in modo insolito in una particolare fase della vita, ci si può ammalare di stress da lavoro. Nel nostro Paese ne soffre più di un lavoratore su quattro, secondo l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro.
LINEE GUIDA – Per guidare le aziende nel valutare se troppo stress può mettere a rischio la salute dei lavoratori, sono arrivate le linee guida emanate dal Ministero del Lavoro, che indicano come attuare il Testo unico per la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro (decreto legislativo 81/ 2008 e sue successive modifiche con d.lgs. 106/2009). Così, dal primo gennaio c’è l’obbligo per tutti i datori di lavoro di “misurare” lo stress dei propri dipendenti, provvedendo, qualora esista, a eliminarlo o almeno a ridurlo. «Abbiamo dato indicazioni di metodo, brevi e semplici, adattandole alla realtà italiana fatta soprattutto di piccole e medie aziende» spiega Lorenzo Fantini, della direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro del Ministero. Il punto di partenza è l’Accordo-quadro, firmato nel 2004 a Bruxelles tra le parti sociali dell’Unione europea, che definisce lo stress nei luoghi di lavoro: “una condizione, accompagnata da sofferenze o disfunzioni fisiche, psichiche, psicologiche o sociali, che scaturisce dalla sensazione individuale di non essere in grado di rispondere alle richieste o di non essere all’altezza delle aspettative”.
SEGNALI D’ALLARME – Ma come individuare i segnali di allarme? Le linee guida consentono una prima ricognizione degli indicatori e dei fattori di rischio da stress. In una prima fase, obbligatoria per tutte le aziende, il monitoraggio avviene su gruppi di lavoratori esposti a rischi dello stesso tipo, per esempio i turnisti o quelli che svolgono uguali mansioni, come gli operatori dei call center. «In un contesto lavorativo esistono innanzitutto condizioni oggettive di stress, che possono dipendere da ambiente, organizzazione e gestione del lavoro – spiega Paolo Fusari, presidente dell’Ordine degli psicologi del Friuli Venezia Giulia -. A indicare che in quell’azienda c’è un malessere possono essere, per esempio, un eccessivo assenteismo, la frequente rotazione del personale, un numero elevato di infortuni e malattie professionali. Spesso a stressare i lavoratori sono orari troppo rigidi, o la “quantità” di lavoro che non si riesce a gestire, oppure uno scarso riconoscimento delle competenze professionali cui non corrisponde una mansione adeguata. E poi ci può essere la “pressione” emotiva di continui attriti o conflitti tra colleghi, o di un capo che bistratta. Quando si passa a indagare la sfera soggettiva, la valutazione dei rischi diventa più complessa dal momento che ciascuno ha una diversa soglia di tolleranza. I dati, in forma anonima, potranno essere raccolti tramite interviste, questionari o focus group di lavoratori.
RISPETTO E PRECARIETÀ – Alcuni campanelli d’allarme per il rischio stress possono essere, per esempio, la paura che un piccolo errore o una disattenzione possano avere conseguenze gravi, oppure la sensazione di non ricevere il rispetto che ci si merita e, quanto mai attuale in tempi di crisi, il senso di precarietà del posto di lavoro. E ancora, il lavoratore pouò trovarsi in una condizione di stress quando ritiene di essere nell’impossibilità di lamentarsi o di esprimere talenti e capacità personali, di non avere collaborazione da parte dei superiori, colleghi o subordinati, o ancora quando percepisce la quantità di lavoro da eseguire come eccessiva o troppo scarsa, o di avere un tempo insufficiente per portare a termine il lavoro in modo soddisfacente. «Abbiamo lasciato alle aziende l’autonomia di scegliere se rivolgersi o meno a figure professionali specifiche per valutare lo stress dei lavoratori – chiarisce Fantini -. Certo, se un’azienda riterrà di organizzare focus group, è implicito che servirà uno psicologo». «Una nuova sfida attende non solo le grandi aziende ma anche quelle di piccola dimensione – sottolinea Rolando Morelli, presidente dell’Associazione nazionale formatori sicurezza del lavoro (Anfos) -. Sarà monitorato non solo il mondo dei lavoratori dipendenti, ma anche il popolo delle partite Iva e i precari. Nella prima fase di valutazione del rischio stress, le aziende possono affidarsi a check list validate, come quella stilata dall’Ispesl (Istituto Superiore Prevenzione e Sicurezza sul Lavoro), o dalle regioni».
SALUTE E SICUREZZA – Già, ma in tempo di crisi le aziende ne terranno davvero conto? «Proprio perché esistono ancora realtà imprenditoriali in cui è difficile parlare di stress, si è deciso di adottare nel documento la logica della gradualità, semplificando il compito dei datori di lavoro» chiarisce il dirigente del Ministero. Ma attenzione, avverte Fantini: «Rimane l’obbligo legale di proteggere la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro, che ora si applica anche ai problemi di stress; quindi, con i medesimi controlli e stesse sanzioni». Nei prossimi due anni l’attuazione della normativa sarà monitorata dalla Commissione istituita presso il Ministero del Lavoro. «Il modello indicato dalla circolare ministeriale, se applicato seriamente, servirà anche a capire e a migliorare il clima aziendale e la gestione del lavoro – fa notare Angelo Manenti, medico del lavoro a Milano -. Un ambiente di lavoro più salubre è una risorsa non solo per il lavoratore, ma anche per l’azienda».
Corriere.it
16 gennaio 2011