Per esempio, al San Raffele di Milano, il gruppo coordinato da Lorenzo Dagna è stato tra i primi a tentare nuove strade terapeutiche dopo aver osservato i dati contrastanti sull’efficacia del farmaco per l’artrite tocilizubam. In uno studio pubblicato su Lancet Rheumatology, il team ha dimostrato la superiorità terapeutica di anakinra, inibitore dell’interleuchina 1 (IL-1) rispetto a tocilizumab e sarilumab, inibitori di IL-6. Secondo i risultati dello studio, a differenza di questi ultimi, solo anakinra ha prodotto una riduzione sostanziale della mortalità: la citochina da colpire è proprio IL-1. Lo studio dimostra anche la necessità di intervenire in modo tempestivo, dal momento che i pazienti trattati prima (quando gli indicatori dello stato infiammatorio erano più bassi) sono anche quelli che hanno avuto la prognosi migliore.
«L’obiettivo della ricerca clinica su Covid-19 è andare, sempre di più, verso una personalizzazione delle terapie: non solo rispetto alle diverse categorie di pazienti, ma anche alle diverse fasi di malattia – commenta Lorenzo Dagna – Stiamo ora avviando uno studio randomizzato internazionale che ancor meglio sostanzierà l’efficacia e la sicurezza di questa molecola nei pazienti con Covid-19».
Anche al Policlinico San Matteo di Pavia, dopo i buoni risultati ottenuti trattando due pazienti in ventilazione meccanica con una terapia a base di cellule stromali mesenchimali (Msc), sono in procinto di avviare una sperimentazione clinica, sulla base di protocolli già attivi in Cina e negli Stati Uniti. «Questo tipo di trattamento si era già dimostrato efficace nel contrastare le complicanze immunologiche del trapianto di midollo – spiega Marco Zecca, direttore della Oncoematologia pediatrica del Policlinico di Pavia -. E ora grazie alla loro capacità di spegnere reazioni infiammatorie e contrastare il danno tissutale fibrotico, potrebbero essere efficaci in caso di complicanze polmonari acute e a lungo termine dell’infezione da Covid-19».
Pare funzionare anche bevacizumab, un antitumorale già usato da anni che agisce rallentando la formazione di nuovi vasi sanguigni attraverso l’inibizione di un fattore di crescita noto come Vegf. Il farmaco – impiegato in uno studio italo-cinese su 26 pazienti – ha mostrato di ridurre la mortalità e accelerare il recupero. La ricerca, appena pubblicata su Nature Communications, ha visto coinvolto l’Ospedale Moriggia-Pelascini di Gravedona.
Nuove soluzioni anche per la terapia domiciliare. La sperimentazione in corso con raloxifene, farmaco impiegato nell’osteoporosi, si dota di un nuovo protocollo sanitario, disponibile al momento per i pazienti dei medici di base di Milano, Bergamo, Roma e Napoli. Il farmaco sarà abbinato a un kit dedicato che consente di monitorare l’evoluzione della malattia, in stretto collegamento con la struttura ospedaliera di riferimento: Humanitas (Milano e Bergamo), Spallanzani (Roma) e Monaldi (Napoli). Il kit di monitoraggio che viene consegnato al paziente è composto da 3 strumenti digitali per il controllo di pressione arteriosa, frequenza cardiaca, ossimetria transcutanea e temperatura corporea. Il protocollo prevede anche una visita a domicilio settimanale da parte dello staff sanitario per effettuare il tampone e il prelievo ematico di controllo. Tutti i pazienti potranno comunicare con il medico dello studio attraverso un apposito tablet fornito al momento dell’arruolamento.
Finanziato dalla Regione Toscana e coordinato dall’Università di Siena è infine il progetto Tuscavir.net (Tuscany antiviral research network) che ha l’obiettivo di creare una rete qualificata per lo sviluppo di farmaci antivirali. «Non vi sono farmaci specifici per Sars-Cov 2 – spiega la coordinatrice del progetto Elena Dreassi, dell’Università di Siena – e non vi sono farmaci per molti degli attuali e, probabilmente, futuri virus. La creazione di Tuscavir.net risponde a una domanda cogente di formazione e creazione di nuovi farmaci».