«La riforma fiscale approvata a dicembre 2023 ha introdotto alcune modifiche sostanziali che non convincono i manager che hanno scelto di vivere e lavorare oltre confine: ritengono insufficienti e poco attraenti i benefici offerti. In questi primi mesi dell’anno stiamo già vedendo una reazione meno positiva da parte dei candidati di fronte ai nostri tentativi di approccio per un possibile rientro in patria». Dall’Osservatorio di Claudia Paoletti, managing partner di Kilpatrick executive search, «chi voleva rientrare lo ha fatto prima della nuova normativa che ha introdotto criteri più stringenti e meno vantaggiosi sul piano fiscale».
C’è un ostacolo più forte di altri?
È sicuramente retributivo, perché il nostro Paese ha mediamente stipendi più bassi e sotto questo aspetto è poco allettante. Per esempio, se prendiamo in considerazione un middle manager dai 5 agli 8 anni di esperienza, negli Stati Uniti, la retribuzione sta in un range da 80 a 120mila dollari, in Germania da 70 a 120mila euro. In Italia la forchetta è tra 35 e 70mila euro. Andare all’estero significa fare un salto in avanti nel percorso di carriera in termini di responsabilità e ritrovarsi con un compenso più alto e benefit importanti, dalla casa alla retta della scuola dei figli, ai voli di andata e ritorno, solo per citarne alcuni. Questo consente di vivere una vita più agiata e di poter risparmiare di più.
Ma i manager partono solo per una questione di denaro?
Fuori dall’Italia si incontra molta più attenzione alla meritocrazia e all’innovazione, due fattori su cui il nostro Paese sconta una certa debolezza.
Qual è la molla verso la carriera internazionale?
In parte è dovuta a ragioni personali e al desiderio di fare esperienze di vita in altri Paesi, in parte a ragioni professionali ed economiche.
All’estero cercate solo manager italiani?
C’è un prima e un ora nelle ricerche per l’estero di manager di aziende italiane. Il prima si ferma a una decina di anni fa quando le aziende cercavano sempre manager di fiducia italiani per gestire gli avamposti in altri paesi. Oggi questo è ancora parzialmente vero per figure di estrema fiducia, ma per il resto non è più necessariamente così. Ci sono alcuni ruoli dove le ricerche avvengono nel mercato locale. La nostra società ha 6 hub di proprietà tra India, Messico, Cina, America, Turchia, Svizzera e Italia ed è spesso chiamata per ricercare figure già sul posto o per portare in Italia competenze dall’estero.
La nuova normativa fiscale favorisce il rientro in Italia?
Negli scorsi anni abbiamo largamente beneficiato, sia per candidature italiane che straniere, della legge così detta del rientro dei cervelli considerata una delle leggi di defiscalizzazione più vantaggiose in Europa che, purtroppo, non lo è più.
Che cosa è cambiato?
Per esempio è stata abbassata la base di calcolo delle imposte sui redditi dal 70% al 50% per cinque anni, fino a un massimo di 600mila euro, per i lavoratori con almeno una laurea e che qualifica come «altamente specializzati». In passato il periodo si poteva allungare a 10 anni. La quota oggi però passa al 60% in presenza di un figlio a carico. Per accedere a questo sconto fiscale, il lavoratore deve mantenere la residenza in Italia per almeno quattro anni e deve aver risieduto all’estero per almeno 3 anni consecutivi prima del rientro. Nel confronto con la legge precedente, introdotta dal Decreto crescita del 2019, quella attuale risulta essere quindi peggiorativa sia per quanto riguarda la base di calcolo che per la durata.
È solo una questione fiscale?
I manager espatriati chiaramente non valutano solo il fattore fiscale, ma anche altri aspetti, come la qualità della vita, le opportunità di crescita, il clima sociale e politico, la sicurezza e i servizi offerti dal Paese ospitante. Tornando in Italia mettono sempre in conto di perdere alcuni benefici così come di rinunciare a una parte della retribuzione.
Il rientro dei manager espatriati è imperdibile per il sistema Paese?
Il particolare momento di mercato che stiamo vivendo, con la difficoltà a trovare figure soprattutto in alcuni ambiti più legati all’innovazione, fa sì che abbiamo fortemente bisogno di manager che supportino imprenditori, fondi d’investimento e aziende in genere su temi di internazionalizzazione, digitalizzazione, efficientamento dei processi e inclusione. Persone che hanno avuto modo di operare in contesti complessi e multiculturali all’estero possono apportare un grandissimo valore aggiunto al nostro Paese.