di Dino Martirano, dal Corriere della Sera. Dopo 15 anni, per dirla con un’espressione cara al premier Matteo Renzi, «si cambia verso». Se nel 2001, come risposta all’espansionismo federalista della Lega, la riforma costituzionale del centrosinistra metteva in moto uno spostamento di funzioni verso la periferia del Paese — concedendo molto più potere legislativo alle Regioni —, ora la legge Renzi-Boschi sottoposta al referendum confermativo del 4 dicembre inverte la marcia: e, dunque, sprigiona una forza contraria che riporta le materie concorrenti nella sfera di competenza esclusiva dello Stato.
E tanto, per essere chiari, il nuovo Titolo V della Costituzione prevede anche una «clausola di supremazia» con cui il governo può far avocare allo Stato qualsiasi legge regionale per tutelare l’«interesse nazionale». Infine, c’è pure un «libro nero» delle Regioni prive di pareggio di bilancio senza il quale si restringono gli spazi di autonomia.
Tutta questa «rivoluzione copernicana» — perché di questo si tratta, per il Titolo V, dopo tre lustri di contenzioso davanti alla Consulta — è innescata con la stessa legge costituzionale che istituisce il Senato dei 95 rappresentanti delle autonomie territoriali e che non applica le nuove regole alle 5 Regioni a statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta), differenziandole sempre di più dalle 15 regioni Regioni ordinarie. Tant’è che ora, con la legge Renzi-Boschi, solo la legislazione dello Stato è qualificata come «esclusiva» mentre quella delle Regioni ordinarie è sempre più «residuale».
Compiti definiti tra centro e periferia
La riforma, con il nuovo articolo 117 della Costituzione, determina l’ampliamento della materie di esclusiva competenza dello Stato, la soppressione della legislazione concorrente tra Stato e Regioni e l’individuazione di materie di competenza regionale. Per fare un esempio di cosa cambia, l’attuale Costituzione elenca la Tutela dei Beni culturali tra le materie di esclusiva competenza dello Stato mentre la «valorizzazione dei beni culturali e ambientali» è materia concorrente: con la riforma, lo Stato assorbe tutte queste competenze e alle Regioni rimane la «disciplina, per quanto di interesse regionali, della promozione dei beni ambientali, culturali e paesaggistici».
I poteri dell’esecutivo per l’interesse nazionale
Esercitando la «clausola di supremazia, il governo consente che la legge dello Stato intervenga anche in materie riservate alla competenza legislativa delle Regioni. Tale clausola può essere imposta dall’esecutivo quando lo richieda «l’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale».
Senza conti a posto minori spazi di autonomia
Il nuovo III comma dell’articolo 116 riduce l’ambito delle materie nelle quali possono essere attribuite particolari forme di autonomia alle Regioni ordinarie. Il ventaglio di temi sui quali le Regioni possono mettere bocca risulta drasticamente ridimensionato. Cancellati i rapporti internazionali e con l’Ue; la tutela e sicurezza sul lavoro; le professioni; il sostegno all’innovazione per i settori produttivi; la tutela della salute; l’alimentazione; la protezione civile; i porti e gli aeroporti civili; le grandi reti di trasporto e di navigazione; l’ordinamento della comunicazione; la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia; la previdenza complementare e integrativa; il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; le casse di risparmio rurali e le aziende di credito di carattere regionale.
L’autonomia concessa dallo Stato per le materie «residuali» (organizzazione della giustizia di pace; istruzione e ordinamento scolastico; commercio estero; politiche sociali; turismo; etc.) è sottoposta a una nuova condizione: una regola in base alla quale la Regione sia in situazione di equilibrio tra entrate e di uscite del proprio bilancio. Dunque, si prevede un sistema a tre velocità: regioni a statuto speciale (escluse dalla riforma), regioni ordinarie con i conti in ordine (con parziale autonomia), regioni ordinarie senza pareggio di bilancio (prive di autonomia). La «scheda di lettura» curata dall’Ufficio studi della Camera dei deputati segnala una questione interpretativa non secondaria: «Il requisito del pareggio di bilancio deve esistere al momento dell’approvazione della legge o deve permanere anche dopo, pena la perdita dell’autonomia riconosciuta?».
Province (ri)cancellate Regioni «speciali» salvate
C on la modifica dell’articolo 114 le Province (già azzerate dalla legge ordinaria) vengono meno come enti costituzionalmente necessari dotati di funzioni loro proprie. Nella Carta entrano le Città metropolitane e ciò che resta che degli apparati provinciali come «enti di area vasta». Con la «clausola di non applicazione», poi, le 5 regioni a statuto speciale vengono salvate dalla stretta statalista: con una disposizione transitoria che rinvia l’applicazione della riforma al giorno in cui le Regioni a statuto speciale lo chiederanno con la revisione dei rispettivi statuti. Cioè mai.
Regionalismo asimmetrico o riforma Stato-centrica?
Come ha detto al Corriere il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, «non è accettabile che alcuni farmaci oncologici non abbiano regolazione nazionale e la strada Flaminia sia regionale nel Lazio, statale in Umbria e provinciale nelle Marche». Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia illustrata dalla professoressa Fiammetta Salmoni — nel saggio La Riforma costituzionale a raggi X, le ragioni del No e le ragioni del Sì curato da Pino Pisicchio e Luigi Tivelli per il Periscopio delle idee — che parla di «una spoliazione di molte competenze legislative, amministrative e finanziarie che nel 2001 erano state attribuite alle Regioni in maniera piuttosto approssimativa e superficiale, ma che attraverso la defatigante opera della Corte costituzionale erano state ben ridefinite nei loro contorni».
Il Corriere della Sera – 23 ottobre 2016