Il Sole 24 Ore. Il contratto nazionale dei circa 225mila dipendenti di ministeri, agenzie fiscali ed enti pubblici non economici è arrivato ieri alla firma finale all’Aran. Ma ci è arrivato dopo 4 mesi e 4 giorni dall’intesa con i sindacati, siglata il 5 gennaio. Al punto che in queste ore si studia un meccanismo per tagliare i tempi residui almeno per gli arretrati, con l’ipotesi di una busta paga speciale ai primi di giugno prima di far scattare gli aumenti a regime negli stipendi ordinari alla fine del prossimo mese.
Il tragitto che ha portato il testo dal primo accordo all’entrata in vigore ha subito una lunga pausa alla Ragioneria generale dello Stato, dove è stato soggetto a una pioggia di verifiche relative ad aspetti marginali sul piano pratico ma complessi su quello contabile. I tempi della registrazione in Corte dei conti hanno fatto il resto.
In ogni caso, il via libera finale sancito ieri offre ai dipendenti delle “Funzioni centrali” un deciso aiuto anti-inflazione. Gli effetti economici a regime sono indicati in 105 euro medi mensili in un calcolo che agli aumenti sullo stipendio base (si va da 63 a 117 euro lordi a seconda della posizione economica) affianca lo sblocco dei fondi per il salario accessorio e il finanziamento per i nuovi ordinamenti.
Ma lo scudo più ampio contro i rincari è rappresentato dagli arretrati. Perché il contratto è relativo al triennio 2019/2021, ed è il frutto di un negoziato che è partito solo l’anno scorso dopo il Patto sul lavoro pubblico firmato a Palazzo Chigi dal premier Mario Draghi e dal ministro per la Pa Renato Brunetta con i sindacati. «La firma definitiva all’Aran è il giusto coronamento del percorso virtuoso avviato con il Patto», rivendica Brunetta.
Quella mossa d’avvio della ricca serie di interventi sulla Pubblica amministrazione ha sbloccato uno stallo che negli anni precedenti aveva visto la progressiva creazione del fondo per i nuovi contratti senza che però si arrivasse a completare il finanziamento necessario ad avviare il negoziato. La conseguenza è la forte spinta una tantum che arriva sulle buste paga degli statali in contemporanea con la crisi dell’inflazione. Gli arretrati contrattuali valgono infatti dai quasi 1.400 euro agli oltre 2.600 euro lordi a seconda della posizione economica degli interessati. E arriveranno ovviamente in quota parte anche ai dipendenti che sono usciti dalla pubblica amministrazione nel corso del triennio di riferimento.
Ma non è finita qui. Perché nel caso dei ministeriali il rinnovo dei contratti si incrocia con il decreto di Palazzo Chigi che nelle scorse settimane ha adeguato le “indennità di amministrazione”. Anche in questo caso il provvedimento, finanziato dalla legge di bilancio 2020, si è fatto attendere parecchio: e oltre agli aumenti, con cifre diversificate a seconda del ministero e dell’inquadramento di ogni dipendente in un ventaglio di aumenti che arriva a 188,4 euro lordi al mese (2.449 euro all’anno), porta con sé una mole consistente di arretrati. Per un funzionario medio (area terza, posizione F4) di uno dei ministeri in cui l’indennità cresce di più l’uno due offre aumenti a regime intorno ai 300 euro e arretrati fino a 6mila euro: succede in ministeri come Salute, Esteri, Istruzione, Università, Lavoro e Politiche agricole.
«Adesso avanti con la stessa determinazione per chiudere i contratti di sanità ed enti locali», rilancia Brunetta. E in effetti anche in quei comparti il quadro che è stato di fatto bloccato per qualche mese comincia a muoversi. La scorsa settimana è stato firmato l’atto di indirizzo integrativo che nelle Funzioni locali destina 132 milioni di euro a fondi accessori e nuovi ordinamenti, e nelle prossime ore anche la sanità potrebbe superare lo stallo. All’appello, a quel punto, mancherebbe il contratto della scuola, che è ancora fermo sulla linea di partenza.