Un accordo “politico” che lasci volutamente nel vago la definizione degli 85 euro. Né aumento “medio” dunque né aumento “non inferiore a”: solo così sembra possibile arrivare oggi alla firma dell’accordo quadro tra governo e sindacati per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego. Alle 11 l’appuntamento fissato dal ministro della Pubblica Amministrazione Marianna Madia.
Il governo intende firmare l’accordo prima del referendum costituzionale, e ha messo sul piatto anche l’introduzione di un welfare integrativo, la fiscalità di vantaggio del salario per la parte legata alla produttività e il sostegno alla previdenza complementare. Tutti aspetti naturalmente graditi ai sindacati, che però alcuni giorni fa al tavolo della trattativa hanno sollevato due questioni precise: l’entità degli aumenti, appunto “non meno di” 85 euro mensili, e l’inclusione del comparto scuola nel rinnovo contrattuale (altrimenti le norme che verranno abrogate della legge Brunetta rimarrebbero in vigore solo per gli insegnanti, per via della normativa sulla “buona scuola” che le richiama). Due questioni che la Cgil considera non trattabili: «Se ci sono le condizioni e le risposte si va avanti, se non ci sono non c’è data che tenga», ha detto a margine dell’Assemblea del sindacato il segretario generale Susanna Camusso. E dunque, ha ammonito, «non vorrei che qualcuno pensasse che domani il contratto è fatto. Capisco l’ansia da prestazione, ma ci sono anche altre date». Mentre Cisl e Uil sembrano molto motivate a raggiungere un accordo oggi: «Sarebbe un errore non chiudere un’intesa che è stata frutto di un grande lavoro e che deve rappresentare l’apertura di una nuova fase», afferma il segretario confederale della Cisl, Maurizio Bernava. Così quello della Uil, Antonio Foccillo: «Dopo sette anni di blocco dei contratti domani andiamo all’incontro con la volontà di chiudere l’accordo che sarà propedeutico ai rinnovi». A questo punto si profila un’ipotesi estrema: le firme apposte dai sindacati potrebbero essere due su tre, perché la Cgil potrebbe rinviare la propria decisione a dopo il referendum. Se invece prevarrà l’accordo, la battaglia per gli aumenti nel concreto si combatterà poi comparto per comparto, con i sindacati da una parte e l’Aran dall’altra.
Repubblica – 30 novembre 2016