«Conosciamo la tua famiglia, sarebbe un peccato se gli capitasse qualcosa». «State attenti, in ospedale non comandante voi» e addirittura «Finite di vivere se entro un’ora e mezza mio fratello non sarà inserito nella lista trapianti». Minacce di ogni tipo, pedinamenti, intimidazioni. Un clima mafioso che per quattro mesi ha tolto il sonno ad un primario e alla sua equipe di chirurghi dell’ospedale di Padova.
Fortunatamente la vicenda si è conclusa pochi giorni fa con la denuncia di cinque persone per stalking. Tutti e cinque sono stati indagati dalla squadra mobile di Padova per atti persecutori e per tutti è stato emesso un divieto di avvicinamento all’ospedale e ai luoghi di residenza e di lavoro di medici e chirurghi.
La vicenda ha inizio a maggio, quando un paziente 40enne viene ricoverato a Padova con una grave patologia ad un organo vitale. L’unica possibilità di salvarlo è il trapianto. Ma, com’è noto, la cosa non è così semplice: ci sono delle liste d’attesa, dei protocolli da rispettare, degli esami da svolgere per stabilire la compatibilità dell’organo e una commissione di esperti da ascoltare. Ad accompagnare il paziente a Padova sono cinque persone, a vario modo legate a lui (due sorelle, un cugino, un cognato e un amico di quest’ultimo). Inizialmente sembravano normali familiari, come tanti altri. Poi, da giugno, i cinque hanno iniziato a mettere in atto una serie di pressioni sempre più pesanti fino ad arrivare a vere e proprie minacce per convincere il primario e i chirurghi della sua equipe a far saltare al loro parente le liste d’attesa per il trapianto.
Più e più volte i parenti del 40enne ricoverato sono stati visti sotto casa dei medici e quasi quotidianamente hanno contattato i chirurghi per accertarsi che stessero facendo qualcosa per velocizzare il trapianto. Minacce ma anche pedinamenti sempre più inquietanti. Come in uno dei tanti contatti in cui uno del gruppo ha detto al primario: «Che bella famiglia! Sete stati bene ieri al mare? Meglio stare attenti a come vi comportate». Un clima di terrore che di certo non poteva essere tollerato. A maggior ragione in una reparto dove il minimo errore o la minima distrazione rischiano di costare cara. I medici hanno così deciso di chiedere l’intervento della polizia.
Nei guai sono così finite due donne di Messina, rispettivamente 46 e 51 anni (le sorelle del paziente), un uomo di Anzio (Roma) di 50 anni (cugino del parente) e due albanesi di 36 e 35 anni (il marito di una delle sorelle e un amico). I provvedimenti, tra cui il divieto di avvicinamento all’ospedale e ai luoghi frequentati dai medici e chirurgi, sono stati emessi dal gip Mariella Fino su richiesta del pm Orietta Canova. Nel frattempo, a dimostrazione dell’ottima qualità della sanità padovana e dell’inutilità di questo tipo di pressioni, il 40enne è stato trapiantato. Tutto come da protocollo e senza nessun intoppo. Ora lo attende almeno qualche mese di riabilitazione. Un periodo che di certo i suoi cari non potranno seguire da vicino, visti i divieti imposti dal tribunale.
Corriere del Veneto – 4 agosto 2013