Il leader degli industriali risponde a una domanda sul piano Renzi: «Ok cancellare l’art. 18 per neoassunti, ma non basta, il lavoro va creato»
Insiste sui contenuti della legge di stabilità: «Non è quello che ci aspettavamo e non è sufficiente a far ripartire il Paese. Il nostro giudizio non è positivo». E anche sull’iter parlamentare: «Si è ricalcato il metodo del passato: le risorse erano poche ma sono state distribuite a tutti. Le mie previsioni che erano state criticate purtroppo sono state confermate in pieno».
Giorgio Squinzi ha appena ascoltato i dati del Csc: «Sottolineare come la situazione sia difficile ed essere accusati di pessimismo mi sembra un non-senso». È la realtà a parlare: «Vedo molto ottimismo. Il fatto che per un trimestre la discesa non sia più continuata significa che siamo nel fondo. Non lo potrei interpretare come un segnale di decisa ripartenza o di fine della recessione». Insomma «non si può dire che c’è la ripresa, vediamo cosa succederà nei prossimi mesi. La ripresa però ce la dobbiamo conquistare facendo le riforme. Spagna, Grecia, Portogallo, realizzandole, mostrano segnali decisi di ripartenza. Se non facciamo le riforme, e cioè le cose giuste che chiediamo da tempo, agganceremo la ripresa internazionale ma in maniera estremamente modesta».
Una fotografia che Squinzi ha inviato al presidente del Consiglio: «Il presidente Letta nel suo primo discorso al Parlamento per chiedere la fiducia disse di voler usare il linguaggio sovversivo della verità. E la verità sta nei numeri che il Centro studi ha appena presentato nella loro crudezza». Pil sceso dal 2007 ad oggi del 9,1%, le famiglie che hanno fatto una feroce spending review, produzione e investimenti mai così bassi. «Non c’è nessun Paese dentro e fuori l’Europa le cui lancette dell’economia siano tornate così indietro a causa della crisi».
Confindustria vuole le riforme per far ripartire il Paese: «Non abbiamo certo chiesto di sfasciare i conti», è stata la risposta che Squinzi, nel pomeriggio, ha dato al presidente del Consiglio che, intervistato a Bruxelles, ha motivato l’atteggiamento del Governo con la responsabilità di puntare alla crescita senza sfasciare i conti pubblici. «Il presidente è preoccupato di non sfasciare i conti, il nostro obiettivo è di allocare quelle poche risorse che ci sono per non sfasciare il Paese», ha replicato il presidente di Confindustria, ricordando le parole pronunciate in passato proprio Letta, cioè che di solo rigore si può morire.
Le imprese sono pronte a fare la propria parte, e Squinzi lo ha ripetuto mercoledì, nell’incontro con il presidente del Consiglio: «Ci siamo fatti gli auguri, abbiamo confermato la volontà delle imprese di andare avanti e voler contribuire con molta determinazione».
Bisogna andare avanti con le riforme, «altrimenti torniamo alla casella di partenza» ha insistito Squinzi. «Bisogna agire con coraggio e rapidità. Invece siamo lontani dall’azione decisa e rapida che ci serve. L’auspicio è che la sosta natalizia suggerisca a tutti una riflessione profonda sulle vere urgenze del Paese: le riforme istituzionali sono tra queste. Serve un consenso ampio per farle. Rinvii e tatticismi non sono più ammessi». Il nuovo anno è alle porte «e non sarà più semplice solo perché abbiamo toccato il fondo. Le incognite restano grandi, la risalita sarà lunga e lenta, il Pil non tornerà ai valori del 2007 prima del secondo trimestre del 2021». Il bilancio della recessione «è ancora provvisorio perché nessuno con ragionevole certezza può assicurarsi che risaliremo la china, né che lo faremo in fretta». Le potenzialità ci sono: «Non riesco ad arrendermi al declino di un Paese che sembra smarrirsi ogni giorni di più», ha continuato il presidente di Confindustria, auspicando una politica «che dia una chiara guida anziché generare incertezze ed ansie».
Se non si cambia passo, «la nostra sopravvivenza come grande Paese industriale è ancora a rischio, gli imprenditori vivono quotidianamente questa sensazione, vedono ridursi i loro margini, lottano per tenere aperte le aziende, ma il Paese sembra impegnato in altre direzioni, quasi non reagire. Invece ogni giorno perso vuol dire far morire imprese, lasciare persone senza lavoro e con immense difficoltà, perdere capacità produttiva, decidere consapevolmente di cancellare una parte dell’industria italiana perché nessuno a questo punto può dire non lo sapevo e chiamarsi fuori». È dal manifatturiero che può arrivare crescita e occupazione. Lo sottolinea Squinzi rispondendo ad una domanda su un eventuale intervento sull’articolo 18 sui neoassunti, prospettato dal leader del Pd, Matteo Renzi: «Va nella direzione giusta, ma non è sufficiente. Per assumere bisogna prima creare le condizioni per avere più lavoro». Gli italiani, ha aggiunto, sono sempre più stanchi di sentire discutere attorno alle questioni, senza che si prendano decisioni e le si realizzino, è il terreno fertile su cui cresce rigogliosa la pianta dell’antipolitica. «Senza crescita nulla può essere più sostenibile, tutti dobbiamo impegnarci al massimo».
Il Sole 24 Ore – 20 dicembre 2013