«In questo momento di crisi le risorse per sbloccare i contratti a tutti non ci sono». Così il ministro della Pa Marianna Madia, a margine dei lavori in Senato sulla legge delega di riforma della Pa, a proposito dei rinnovi contrattuali per i dipendenti pubblici. Ora, aggiunge, «prima di tutto» guardiamo «a chi ha più bisogno», quindi «confermiamo gli 80 euro, che vanno anche ai lavoratori pubblici». Il rischio evocato nei giorni scorsi prende corpo. Gli stipendi degli statali resteranno bloccati anche nel 2015, a causa delle scarse risorse. Il ministro assicurato che punta a chiudere entro fine anno in Parlamento il ddl delega sulla riforma della P.A., che rappresenta la seconda gamba della riforma complessiva della pubblica amministrazione.
Madia: confermiamo gli 80 euro
Il bonus Irpef, ricorda il ministro, va infatti a tutti i lavoratori sotto una certa soglia di reddito, inclusi gli statali. D’altra parte, sottolinea Madia, «i contratti hanno iniziato ad essere bloccati all’inizio della crisi». Una crisi che «visti i dati sull’economia» prosegue e che «il governo è impegnato» a superare. Uno sforzo che secondo il ministro deve coinvolgere «tutti» sia «il governo che le parti sociali». Parlando a margine dei lavori in commissione Affari Costituzionali del Senato, dove è iniziata la discussione sul ddl Pa, Madia spiega che la decisione sui contratti per il pubblico impiego verrà presa in sede di legge di stabilità, ma presumibilmente la proroga del blocco, cominciato nel 2010, dovrebbe essere di un anno (2015).
Delega Pa, Madia: no letargo, vogliamo chiudere esame entro anno
Il ministro assicurato che punta a chiudere entro fine anno in Parlamento il ddl delega sulla riforma della P.A., che rappresenta la seconda gamba della riforma complessiva della pubblica amministrazione. Tuttavia, Madia non drammatizza sui tempi. E spiega: «Se la discussione procede spedita e serviranno uno o due mesi in più, per me va bene, l’importante è che non si vada in letargo». E pone a febbraio il limite massimo per l’approvazione della delega.
Il governo però, davanti un bivio, ha deciso di agire in questa direzione contando su un risparmio annuo di 4-5 miliardi di euro. “I contratti – ha ribadito Madia – sono bloccati da quando è iniziata la crisi. Tutti insieme, governo e parti sociali, adesso dobbiamo portare il paese fuori dalla crisi. I dati dell’economia li abbiamo visti, in una situazione di crisi la cosa importante è l’alleanza con chi ha più bisogno”.
Il Tesoro d’altra parte ha bisogrno di recuperare 16-17 miliardi di tagli alla spesa per il prossimo anno. Nonostante le rassicurazioni del premier, Matteo Renzi, era evidente che in qualche modo sarebbero stati colpiti gli statali o i pensionati. L’esecutivo ha quindi deciso di estendere il blocco degli stipendi dei dipendenti pubblici, ormai al palo dal 2010, per altri due anni. E d’altra parte nei giorni scorsi la Corte dei Conti aveva sottolineato come l’Italia non spenda tanto, “ma male”.
Da quando è entrato in vigore, il congelamento ha portato oltre 11 miliardi di risparmi alle casse pubbliche, ricavati a fronte di un impoverimento di fatto dei 3,3 milioni di dipendenti della Pa che hanno visto – in media – ridursi il valore del salario reale di quasi 15 punti percentuali. La mossa successiva del governo Letta, che ha anche esteso il blocco del turn-over fino alla fine del 2018, ha garantito altri 5 miliardi di risparmi. La stessa Cgil, in calcoli precedenti, aveva sottolineato come il sacrificio sia finora ammontato a circa 4mila euro a testa.
Bonanni: no blocco contratti Pa, eliminare sprechi enti locali
Il primo a rispondere (negativamente) alla Madia sul blocco degli stipendi nella Pa è il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni: «Eliminassero gli sprechi negli enti locali, nelle Regioni, nei Comuni e nelle aziende mucipalizzate. Ma non tolgano soldi ai dipendenti statali. Stiamo ancora aspettando iniziative di spending review».
L’avvertimento agostano dei sindacati
Nel dibattito agostano in vista della legge di stabilità lo spinoso tema del contratto dei dipendenti pubblici, aveva già fatto capolino. Sul fronte sindacale, infatti, si era registrata il 20 agosto la presa di posizione comune di Cgil, Cisl e Uil contro le ipotesi di stampa circolate di una nuova proroga per altri due anni del blocco degli stipendi degli statali. «Intervenire sul salario dei dipendenti pubblici è un errore madornale» scrivono i sindacati del pubblico impiego di Cgil, Cisl e Uil, che chiedono «una smentita da parte del presidente Renzi e della ministra Madia». Altrimenti ci sarà una «reazione fortissima» e «la ripresa dei lavori» avverrà «in un clima incandescente».
Il sottosegretario Rughetti: «Non si può dare tutto a tutti»
Il blocco dell’adeguamento economico per i contratti della Pubblica Amministrazione sembra ben lontano dall’essere superato. Con il precedente Governo di Enrico Letta si era scelto di dare il via libera al rinnovo della parte normativa dei contratti mantenendo bloccato, fino a tutto il 2014, il rinnovo della parte economica in vigore ormai dal 2010. L’Esecutivo, come confermato ieri sera dal sottosegretario alla PA, Angelo Rughetti, intervenuto alla trasmissione In Onda su La 7, sembra infatti aver fatto una scelta diversa investendo una buona fetta di risorse sul bonus degli 80 euro, “una misura della quale beneficiano anche molti dipendenti della PA”. Il messaggio è chiaro, e viene confermato subito dopo dallo stesso Rughetti: “Senza una nota di aggiornamento che cambi il Def, il blocco dei contratti della PA resta”
A domanda di Alessandra Sardoni sulla possibilità di escludere un ulteriore blocco degli stipendi della PA, il sottosegretario alla Pubblica Amministrazione, ha infatti risposto: “Non posso escluderlo. Nel Def non è previsto un rifinanziamento. E’ chiaro che il Governo ha fatto una scelta precedente, ossia quella degli 80 euro, una scelta della quale beneficiano anche i dipendenti pubblici che percepiscono una retribuzione che rientra nel range su cui si è intervenuti. Si dovrà fare una riflessione su questo tema nel momento in cui si andrà a fare la nota di aggiornamento al Def e la legge di stabilità. E’ chiaro che il Governo deve fare delle scelte, e se la scelta è quella di ridurre il cuneo fiscale e incentivare gli investimenti per far riprendere il lavoro e la crescita, non si potrà dare tutto a tutti. Penso che questo tema dovrà essere oggetto di una riflessione collegiale che l’Esecutivo dovrà intraprendere con la sua maggioranza e il Parlamento per poi decidere tutti insieme”.
Il messaggio è chiaro, e viene confermato subito dopo dallo stesso Rughetti: “Senza una nota di aggiornamento che cambi il Def, il blocco dei contratti della PA resta”. In questo modo, se da una parte resterebbero di fatto esclusi tutti quei lavoratori con uno stipendio al di sopra del range minimo richiamato dal sottosegretario, dall’altra si garantirebbe a quei lavoratori con uno stipendio più basso, un aumento annuale al di sopra di quello che potrebbero ottenere con un adeguamento della parte economica dei contratti.
Road map del governo: saranno riviste tutte le regole dello Statuto dei lavoratori
Il governo modificherà l’articolo 18 ma non ha ancora deciso come. D’altra parte il premier Matteo Renzi l’ha detto chiaramente: l’obiettivo è quello di riscrivere tutti gli articoli dello Statuto dei lavoratori del 1970 senza eccezioni. Dunque l’articolo 18, notevolmente depotenziato dalla legge Fornero di due anni fa, non sarà esentato. Tanto più per il valore simbolico che ha quella norma agli occhi della Commissione europea, della Banca centrale di Francoforte e degli investitori. L’articolo 18 serve anche a segnare la discontinuità del governo Renzi rispetto al passato. Ormai è a tutti chiaro che è questo il contesto in cui si gioca l’ennesima partita sull’articolo 18.
Per ora Renzi e il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, hanno definito una strategia in due tempi: prima una sorta di operazione divulgativa su come agisce l’articolo 18 e, al di là della sua generale funzione di deterrente contro l’eventuale abuso dei licenziamenti, quali fasce di lavoratori protegge; poi sarà individuata la soluzione di merito, tenendo conto nel frattempo dell’andamento della discussione parlamentare. Che riguarderà l’intero Jobs Act, con la riforma degli ammortizzatori sociali, le regole per l’accesso ai diritti di maternità a favore di tutte le lavoratrici, indipendentemente dal contratto, la rivisitazione del sistema del collocamento pubblico con la nascita di un’Agenzia nazionale. Ed è per questo che Poletti insiste — d’intesa con Renzi — nel dire che alla fine verrà trovata una soluzione «di equilibrio» tra le diverse parti della delega. Perché uno strappo sull’articolo 18 comprometterebbe tutto il resto.
Dunque siamo alle prime mosse del primo tempo. Presentando il programma dei mille giorni, Renzi ha cominciato a circoscrivere la dimensione del problema: ogni anno sono circa tremila i lavoratori che vengono reintegrati dal giudice (per effetto dell’articolo 18) dopo un licenziamento discriminatori su un totale di oltre 22 milioni di occupati e 60 milioni di abitanti. Insomma è una norma che si applica a una minoranza della popolazione. D’altra parte lo stesso Statuto non si applica alle imprese con meno di 15 dipendenti, cioè alla stragrande maggioranza delle aziende italiane, piccole e poco capitalizzate a differenza proprio del modello industriale tedesco richiamato da Renzi per le regole sul lavoro e il welfare. Mentre una riforma organica delle regole del lavoro che offra più opportunità di impiego — spiegano i tecnici dei ministeri — è destinata ad interessare oltre cinque milioni di persone, tra disoccupati (3,2 milioni) e “scoraggiati” (quasi due milioni).
Ma il premier sa anche che più dell’80 per cento delle cause promosse per licenziamento senza giusta causa finisce prima della sentenza con una transazione economica. E questo potrebbe diventare un argomento decisivo per far protendere il governo verso la cosiddetta “soluzione Ichino”, cioè superare definitivamente l’articolo 18 e introdurre in caso di licenziamento illegittimo il pagamento di una indennità crescente con l’anzianità aziendale del lavoratore. In questo caso — peraltro — verrebbero tutelati anche coloro che ora si rivolgono al giudice ma perdono la causa e non vengono reintegrati.
Il punto è delicatissimo. Nella commissione Lavoro del Senato, infatti, l’esame della delega si è interrotta prima di agosto proprio su questo, con Scelta Civica (il partito del professor Pietro Ichino), Ncd (il partito del presidente della commissione Maurizio Sacconi), i popolari e l’Svp a favore dell’”opzione Ichino” e il Pd a sostegno di una via che ricalca quella proposta dagli economisti Tito Boeri e Pietro Garibaldi: contratto a tutele crescenti con l’applicazione dell’articolo 18 a partire dal terzo anno. Da qui riprenderà domani il lavoro dei senatori con l’obiettivo di approvare la delega entro la fine del mese e passare così il testimone alla Camera dei deputati.
Convitati di pietra in questa disputa sono i sindacati, indeboliti nel loro peso politico e anche divisi specificatamente sull’articolo 18, con Cisl e Uil che non ne hanno mai fatto un totem, e con la Cgil che rilancia proponendo l’estensione a tutti i lavoratori delle tutele previste dalla norma statutaria. Ma i sindacati dovranno pure fare i conti con il probabile ennesimo blocco dei rinnovi contrattuali nel pubblico impiego. Ieri il sottosegretario alla Pubblica amministrazione, Angelo Rughetti non l’ha escluso: «Il governo deve fare delle scelte. Non si può dare tutto a tutti. Sarà una decisone collegiale. Ma se non cambia il Def (il Documento di economia e finanza) il blocco resta».
Quotidiano sanità, La Repubblica – 3 settembre 2014