Federico Fubini. Pronta la lista delle misure possibili messa a punto da Gutgeld e Perotti, il tandem tecnico incaricato dal governo Parte degli effetti si avrà dopo il 2016 e altri interventi sono molto impopolari Tocca alla politica sciogliere i nodi.
Sono solo due ma stanno lavorando alla spending review a testa bassa, a titolo gratuito, decisi a scendere nei dettagli delle singoli voci di bilancio e puntare a risultati concreti: non a presentare l’ennesimo, elegante rapporto. Hanno per l’anno prossimo un obiettivo di dieci miliardi di tagli o almeno di economie. Eppure, a giudicare dal poco che emerge per ora, hanno anche un problema: con ciò che hanno in mano adesso, i risparmi possibili sul 2016 potrebbero fermarsi a quota sei miliardi. Ne mancano quattro, che dovranno in qualche modo trovare.
Yoram Gutgeld e Roberto Perotti non potranno essere accusati di non averci provato. Il loro lavoro è partito prima ancora che venisse loro affidato formalmente. Gutgeld, 55 anni, nuovo commissario di governo alla revisione della spesa da fine marzo, è un ex manager di McKinsey eletto alla Camera con il Pd e consigliere di Palazzo Chigi. Perotti, 54 anni, dottorato al Massachusetts Institute of Technology con alcuni degli economisti determinanti nella formazione di Mario Draghi in quella stessa scuola, si divide fra la Bocconi e il suo ruolo di consigliere a Palazzo Chigi.
Entrambi sono nella fase più delicata della loro missione: a giudicare dalle loro stesse dichiarazioni ai media sui possibili tagli, restano almeno quattro miliardi sul 2016 ancora tutti da individuare. Se il governo intende davvero centrare l’obiettivo dichiarato di 10 miliardi sull’anno prossimo, in modo da evitare l’aumento automatico dell’Iva per 16 miliardi, nei prossimi mesi si affacceranno scelte difficili. Decidere toccherà alla politica, perché per ora infatti i capitoli di bilancio aperti sembrano insufficienti a far quadrare i conti.
Da quanto è partita la nuova spending review , Gutgeld e Perotti hanno menzionato numerosi fronti sui quali lavorare: chiudere un gran numero di deduzioni e detrazioni fiscali; ridurre i sussidi alle imprese; limare la spesa sanitaria anche sul 2016, dopo l’accordo sul 2015 che frena l’aumento di 2,5 miliardi rispetto all’andamento tendenziale; intervenire sul trasporto pubblico locale, sui trasferimenti alle Ferrovie e sugli abusi nelle pensioni di invalidità; riassorbire il Corpo Forestale in altre strutture dell’ordine pubblico; passare al modello “Federal Building”, il palazzo unico che raccoglie tutti i vari uffici dello Stato in ogni capoluogo e permette di ridurre l’uso dello spazio da ufficio da 40 a 25 metri quadri per dipendente; concentrare gli acquisti di beni e servizi delle amministrazioni in 35 grandi centrali appaltanti al posto delle migliaia in funzione oggi, spesso gestite da uffici decentrati e piccoli comuni fra sprechi e corruzione. Infine, Gutgeld è al lavoro anche sul fronte delle società municipalizzate delle grandi città.
È un programma volto a risparmiare e servire i cittadini in modo più efficiente. Il problema è che sul 2016 varrà al massimo sei miliardi. Non è difficile capire perché, sulla base delle realtà amministrative e delle valutazioni lasciate dall’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli. Il programma di Gutgeld e Perotti prevede per esempio varie iniziative, tutte necessarie, che difficilmente produrranno tagli già l’anno prossimo. È il caso del “Federal Building”, che nel 2016 richiede investimenti per poi garantire vantaggi fra due o tre anni. Ed è il caso del riassorbimento del Corpo Forestale: dopo qualche tempo il risparmio sarà di circa 25 milioni di euro, ma all’inizio anche qui serviranno investimenti. Più rilevanti però sono i tempi di un altro piano: anche sulla concentrazione delle centrali d’acquisto, un progetto che può fruttare molti miliardi, i risparmi sul 2016 rischiano di essere quasi zero.
Per capirlo, occorre vedere come funzionano gli appalti per forniture: di solito fra un bando di gara e l’assegnazione a un vincitore passano 18 mesi, e qualcosa di più prima che quest’ultimo inizi ad operare. Dunque sul 2016 lo Stato godrà quasi solo dei risparmi ottenuti nelle gare bandite nel 2014, circa due miliardi. E poiché nel migliore dei casi la concentrazione in 35 centrali scatterà solo l’anno prossimo, inizierà a ridurre gli sprechi solo nella seconda metà del 2017 e nel 2018.
Certo nel dossier di Gutgeld e Perotti ci sono anche capitoli molto incisivi fin da subito. Il più importante riguarda la Sanità, dove 2,5 miliardi di tagli, e forse qualcosa di più, sono raggiungibili in fretta. L’intenzione è procedere a una sforbiciata del 5% su tutte le forniture non legate a gare d’appalto o su quelle concesse in proroga, un portafoglio da circa 30 miliardi, e su una somma simile spesa in convenzioni con ospedali e case di cura. Gutgeld applicherà “costi e fabbisogni standard”, aggredendo le spese che se ne discostano.
Ci sono poi due dossier che si presentano caldissimi dei prossimi mesi: i tagli alle Ferrovie e al trasporto pubblico locale, cioè alle società degli autobus o delle metropolitane. Su entrambi i fronti si possono tagliare 500 milioni da subito. Per le Fs, la spending review partirà subito con un confronto fra il costo dell’alta velocità in Francia con quello molto più alto in Italia. Ma togliere mezzo miliardo a Ferrovie dello Stato, proprio mentre lo stesso governo chiede all’azienda di prepararsi alla privatizzazione, non sarà una passeggiata. Molto dipenderà dal neo-ministro dei Trasporti Graziano Delrio, e lo stesso vale per il trasporto pubblico locale.
Resta la lotta agli abusi nelle pensioni di invalidità, per i quali Cottarelli aveva stimato risparmi da 100 milioni nel primo anno. Restano le municipalizzate, un altro dossier che può dare frutti solo in tempi più lunghi. E infine la cancellazione dei sussidi alle imprese: molti di questi sono fuori dal bilancio perché avvengono sotto forma di mutui concessi con fondi rotativi dunque, se non si toccano Finmeccanica e le relative commesse della Difesa, il massimo a cui si può sperare di risparmiare già nel 2016 è meno di un miliardo. In tutto fanno dunque 4,5 miliardi di veri e propri tagli. A questi va aggiunta la cancellazione di sgravi fiscali per 1,5 miliardi: una giusta misura di riequilibrio ed efficienza, ma comunque un aumento della pressione fiscale e non una riduzione di spesa.
Come si vede dunque la strada è ancora lunga e richiederà al governo scelte difficili prima che a ottobre arrivi la legge di Stabilità. Una carta nella manica sarebbe il taglio del 2-3% delle retribuzioni dei dirigenti pubblici, a tutti i livelli. Un’altra, benché il premier Matteo Renzi abbia promesso il contrario, un ulteriore taglio su comuni e Regioni.
Avrebbe aiutato se Renzi avesse lanciato la spending review un anno fa, e oggi dunque fosse stato in grado di accelerare con i tagli alle tasse per sfruttare la ripresa. Né sarebbe stato male legarla alla riforma della pubblica amministrazione, perché i risparmi ormai sono possibili solo intervenendo sulla struttura dello Stato. Ma qui è Rodi, e qui il premier deve saltare.
Da La Repubblica del 27/04/2015.