di Roberto Turno. Tagli da 2-2,5 miliardi alla sanità nati e tramontati nel giro di una sola giornata. Con i distinguo, le preoccupazioni e gli altolà di Beatrice Lorenzin. Lo stop delle regioni che minacciavano di fermare l’orologio del «Patto salute». La minoranza Pd (e non solo) insorta con Stefano Fassina. I medici sulle barricate anche contro il rischio di subire con i dirigenti pubblici altri prelievi in busta paga. Le reazioni (scontate e previste) contro misure socialmente dolorose e impopolari hanno imposto a palazzo Chigi in serata di virare dalla rotta di nuovi salassi lineari alla sanità allo studio del Mef. Nessun taglio lineare alla spesa sanitaria, è la rotta di Matteo Renzi. Anche se ora andranno trovate le alternative, e comunque una potatura alle spese di asl e ospedali ci sarà con la spending. Almeno un miliardo nel 2014, è l’ipotesi, stando almeno al “piano Cottarelli”.
Le anticipazioni di ieri del Sole 24-Ore sulle ipotesi del Mef di tagli da 2-2,5 miliardi alla spesa sanitaria anche riducendo almeno di 1 miliardo il Fondo per il 2014, hanno creato malumori e tensioni. «Io non sono in grado di rassicurare nessuno. Quello che posso dire è che a oggi nessuno mi ha proposto un taglio lineare», ha dichiarato nella mattinata di ieri Lorenzin. Tagli lineari «con l’accetta» che d’altra parte «non possono aiutare la riprogrammazione del sistema sanitario», ha aggiunto, ribadendo il suo refrain: qualsiasi risparmio deve restare dentro il Ssn. Ma la scelta «è tutta politica», ha aggiunto non a caso. E quanto alle anticipazioni sui nuovi tagli da 2-2,5 miliardi, del resto, «il fatto che si leggano queste cose sui giornali non è che non mi preoccupi». Il che, abbinato all’ammissione della ministra di «non essere in grado di rassicurare nessuno», rafforzava appunto la veridicità delle indiscrezioni. Anche perché al Mef ci sarebbe stato una sorta di “piano B”: degli eventuali 2 miliardi di risparmi, la metà sarebbe restata in casa Ssn. Quasi un compromesso.
Che però non poteva bastare a a nessuno. Il rappresentante dei governatori, Vasco Errani (si veda l’intervista a pag. 6), lo ripeteva a chiare lettere: i risparmi della spending in sanità non vanno indirizzati altrove, altrimenti il «Patto» salterebbe e «si aprirebbe un serio e concreto problema di gestibilità» della salute pubblica. Ma anche dalla maggioranza fin dalla mattina era partito il fuoco di sbarramento. «Speriamo che il Governo smentisca al più presto le indiscrezioni su ulteriori tagli alla sanità per “coprire” la riduzione dell’Irpef. Sarebbe una beffa e un danno. Quasi una partita di giro», metteva in guardia Stefano Fassina. Come, non a caso, ribadivano in un fuoco di fila pro-Lorenzin dal suo stesso partito, l’Ncd; dall’ex ministra De Girolamo a Raffaele Calabrò, capogruppo in commissione sanità alla Camera: «I tagli paventati dal Mef sono insostenibili e porterebbero al collasso il sistema. Spero che Renzi non voglia intestarsi questa battaglia».
Infine il fronte sempre caldo dei medici. «I medici e i dirigenti sanitari non accetteranno senza reagire altre discriminazioni ai loro danni con un’aliquota fiscale più o meno mascherata», il muro alzato da Costantino Troise, segretario del primo sindacato di categoria, l’Anaao. Una dichiarazione di guerra, ma anche un allarme: «Il sistema sanitario non è in grado di sopportare ulteriori restrizioni e aggressioni». Poi la marcia indietro arrivata in serata da palazzo Chigi. Con cifre ancora tutte da decidere. (6 aprile 2014)
Sanità, allo studio maxitaglio da 2-2,5 miliardi. Un miliardo in meno già col Fondo sanitario 2014
Non bastavano i risparmi previsti da mister spending, Carlo Cottarelli: 300 milioni quest’anno, 800 milioni nel 2015 e 2,4 miliardi nel 2016. Ma senza contare la potatura delle spese per beni e servizi sanitari e non sanitari, che fin da quest’anno solo per la sanità potrebbero valere fino a 1 miliardo. E non bastavano neppure le indicazioni delle regioni, pronte ad aggiungere altri colpi d’accetta tra centrali d’acquisto e farmaci. I tecnici di via XX Settembre hanno in preparazione in queste ore un’altra sfoltitura alle spese di asl e ospedali: un taglio secco al Fondo sanitario nazionale di quest’anno che varrebbe almeno 1 miliardo, e poi forse ancora di più nel 2015. Tagli che si aggiungerebbero ai 25 miliardi già assestati di minori spese questi anni in maniera lineare al Ssn.
Un totale di minori spese che solo per quest’anno potrebbe valere almeno intorno a 2-2,5 miliardi.
Aveva già messo non a caso le mani avanti nei giorni scorsi, Beatrice Lorenzin: «Non sono d’accordo con Cottarelli, non sono in linea per lo meno sul metodo. La sanità non può sopportare altri tagli, men che meno lineari». Qualcosa evidentemente il ministro sapeva che si stava muovendo tra Economia e Ragioneria. E, forte del pressing che nella stessa direzione stanno imprimendo i governatori, ha subito fatto muro: le misure le decidiamo con le regioni nel «Patto» per la salute. Di più, aspetto cruciale: qualsiasi risparmio deve restare in casa del Ssn. Per investire, programmare, far ripartire la macchina delle cure pubbliche schiacciata dal peso della sostenibilità del sistema a bocce ferme.
Invece il ministro – che ancora ieri da Bruxelles ha rilanciato la sua ricetta dicendosi sicura che il Def «non prevede tagli ma risparmi», quantificati ancora in 10 miliardi in tre anni – dovrà ricredersi e alzare nuove barricate prima del varo del Def. Quarantott’ore per cercare di ribaltare in extremis le soluzioni che – sebbene ancora non decise – si stanno profilando davanti alla necessità per il Governo di trovare le coperture per le maxi riforme messe in cantiere da Matteo Renzi. Il quale, naturalmente, dovrà dire la sua su eventuali nuovi tagli alla salute.
Il taglio da 1 miliardo allo studio dei tecnici del Mef, farebbe scendere il Fondo sanitario (non ancora ripartito tra le regioni, che dovranno applicare i costi standard) a 112,452 miliardi tutto compreso, quello per il 2015 a 116,563, se non meno. Con un effetto scivolamento che potrebbe valere anche per il 2017 (sulla carta 122 miliardi). Insomma, un’altra batosta. Che avrebbe l’ulteriore effetto di far crescere le tensioni e di rincrudire i rapporti politici, sindacali e sociali.
Insomma, un passo complicato. Anche perché tra le misure allo studio, ad esempio, c’è quella del taglio agli stipendi dei dirigenti ( si veda pezzo accanto), che potrebbe toccare medici e dirigenti non medici. E perché per i governatori, oltre che per il ministro, c’è un vangelo da rispettare: qualsiasi risparmio va lasciato nel Servizio sanitario. Questa la parola d’ordine al tavolo del «Patto» per la salute che proprio ieri ha ripreso i lavori dopo una lunga fase di stallo nel trapasso da Enrico Letta a Renzi. Oprendere o lasciare, è la minaccia: i risparmi restino nel Ssn, altrimenti il «Patto» salta, con tutte le conseguenze del caso. Soprattutto in un momento in cui la crisi sta mettendo in ginocchio le famiglie e l’abbandono o la rinuncia alle cure a pagamento, tra ticket o ricorso al privato per aggirare l’imbuto delle strutture pubbliche sempre più in affanno, riguarderebbero secondo tutte le ricerche fino a 9 milioni di italiani.
Anche di questo si ragionerà al tavolo del Def e della spending review. E certo non sarà un aspetto secondario quando martedì 8 – proprio nel giorno del varo del Def – si svolgeranno gli «Stati generali della sanità» convocati da Lorenzin, dove dovrebbe intervenire anche Renzi. Non è un caso che ieri il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi, abbia accennato al fatto che un taglio da 1 miliardo varrebbe per le industrie del farmaco 150 milioni, mettendo a rischio a 2-3mila posti di lavoro. E che alla stessa cifra abbia fatto riferimento, contestandola, il presidente della commissione sanità del Senato, Emilia Grazia De Biasi (Pd). Per non dire della bocciatura di giovedì dell’Ocse a Cottarelli: la spesa sanitaria in Italia è inferiore di un terzo a quella dei Paesi dell’area euro e il divario dal 2000 s’è triplicato. Conclusione: qualsiasi taglio non finalizzato all’abbattimento di inefficienze colpirebbe l’accesso ai servizi e la qualità dell’assistenza soprattutto per chi meno ha. (5 aprile 2014)
Il Sole 24 Ore – 6-5 aprile 2014