La spesa italiana per affrontare la gestione dei migranti arriva quest’anno a 4,3 miliardi, ma è destinata nel 2018 a sfondare quota 5 miliardi. Parola del governo, che nel Documento programmatico di bilancio pubblicato ieri dalla Commissione europea disegna la dinamica di una delle voci di spesa chiave nelle trattative con Bruxelles sugli spazi di deficit. È vero, infatti, che nell’ultimo periodo gli arrivi sono crollati, con un -65% nel terzo trimestre dell’anno rispetto allo stesso periodo del 2016, ma questo non diminuisce la spesa perché cresce l’ampiezza della presa in carico da parte delle strutture di accoglienza: sono oltre 193mila i migranti assistiti a settembre 2017, contro i 176mila registrati nella media del 2016.
Su queste cifre si eserciterà a metà novembre il giudizio della Commissione europea sul nostro bilancio. Il dibattito italiano si è invece già acceso, come da attese. «Il significato di manovra snella è molto semplice – spiega il premier Paolo Gentiloni al Sole 24 Ore -. Da un lato ci siamo mossi per accompagnare la crescita, che nel 2017 fa registrare livello più alto degli ultimi 10 anni, eliminando il rischio di nuove tasse, sterilizzando le clausole salvaguardia e ottenendo maggiore flessibilità dalla Ue». L’insieme di queste mosse, nell’ottica del premier, ha permesso di «rifinanziare un progetto fondamentale come Industria 4.0, che vale 10 miliardi per i prossimi anni. Dall’altro lato abbiamo messo in campo misure per sostenere le parti più fragili del nostro Paese: sgravio per assunzioni dei giovani, rifinanziamento del bonus per gli investimenti al Sud, aumento dei fondi per il reddito di inclusione, oltre ad alcuni interventi selettivi sulle pensioni come l’Ape sociale per le donne. Insomma – chiude il premier – è tutt’altro che una legge di bilancio di carattere elettoralistico». Tra le misure prende inoltre forma il rafforzamento del reddito d’inclusione, che secondo i calcoli del governo potrà raggiungere nel corso del prossimo anno fino a 650mila famiglie (contro le 490mila iniziali), con un aiuto che potrà arrivare a 540 euro al mese.
Il menu non affascina però i sindacati, che a Gentiloni chiedono un incontro urgente per chiarire quella che a loro giudizio è una «esplicita violazione degli accordi» sulle pensioni. Critica subito respinta al mittente dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, che oltre a richiamare gli interventi previdenziali della manovra mette un punto fermo sulla questione degli adeguamenti automatici dell’età pensionabile all’aspettativa di vita. Sul punto, chiude, «c’è una legge concordata in sede Ue». In fatto di giovani, sottolinea poi Padoan in un’intervista al Tg1 della sera, «abbiamo fatto il massimo possibile con le risorse a disposizione, e penso che le misure adottate funzioneranno».
Sul piano degli effetti sulla finanza pubblica le cifre sono ovviamente in linea con le attese, e prospettano come effetto della manovra un aumento dello 0,62% nel deficit, che quindi si attesterà a quota 1,6% del Pil. Il suo compito sarà quello di far aumentare la crescita di tre decimali di Pil, e secondo le simulazioni del Tesoro un aiuto arriverà anche dalle banche: il «recente declino dei costi di finanziamento delle banche – spiega il Dpb –, se traslato alla clientela, potrebbe incrementare il tasso di crescita» dello 0,1% nel 2018 e dello 0,2% nei due anni successivi.
La manovra nel complesso vale l’1,1% del Pil, cioè 20,4 miliardi, e sul piano delle coperture offre un ruolo da protagonista al capitolo fiscale, a partire dal rinvio di un anno dell’Iri e dall’ingresso in campo, a tappe, della fatturazione elettronica (si veda il servizio nella pagina a fianco). Il conto presentato ai ministeri sotto forma di spending review si conferma a un miliardo, a cui si aggiungono quasi due miliardi di riprogrammazione nel calendario dei trasferimenti alle Fs e agli altre strutture pubbliche; in pratica, le somme in arrivo si riducono per il 2018, ma il tutto sarà compensato negli anni successivi.
Ma dai numeri inviati alla Commissione emergono anche gli altri indicatori chiave nelle dinamiche dei conti pubblici. La spesa sanitaria, prima di tutto, raggiungerà nel 2018 il 6,5% del Pil, avvicinandosi a quota 116 miliardi, mentre l’istruzione si attesterà al 3,5% (62 miliardi abbondanti).
Marco Rogari e Gianni Trovati– Il Sole 24 Ore – 18 ottobre 2017