Non era ancora nato, Victor Barrio Hernanz, quando la Spagna piangeva «El Yiyo», José Cubero Sanchez, l’ultimo torero a morire in una corrida prima di lui, 31 anni fa, a Colmenar Viejo, pochi chilometri a nord di Madrid. Victor Barrio ne ha compiuti ventinove il 29 maggio scorso.
Era nato a Sepulveda, vicino a Segovia, e aveva indossato il traje de luces , l’affusolata divisa del matador, per inaugurare la sua carriera nell’arena, poco più di quattro anni fa, anche se si era già affermato come «novillero», il titolo che spetta ai principianti, nei quattro anni precedenti. Abbastanza tardi, comunque, per i parametri della tauromachia, che cerca i suoi talenti fra i ragazzini: «Ho preso la decisione a vent’anni — raccontava Victor, che da studente aveva lavorato sui campi di golf —. Ero sempre stato un grande ammiratore dei toreri e della fiesta, ma avevo pudore a dire che avrei voluto diventare uno di loro, perché erano eroi ai miei occhi».
Sabato sera, nella plaza di Teruel, in Aragona, il suo toro era il terzo della serie prevista per la Feria del Angel, la Festa dell’Angelo. Sotto gli occhi della moglie, Raquel, seduta sulle gradinate, Victor Barrio ha affrontato uno dei potenti esemplari dell’allevamento Los Maños: Lorenzo, numero 26, un gigante nero e lucente di 529 chili, lo ha atterrato e trafitto al petto, perforandogli il polmone destro e l’aorta toracica fino all’emitorace sinistro. Più o meno come aveva fatto il toro Burlero con «El Yiyo», nel 1985, e non molto diversamente da come sono morti nel secolo scorso, in Spagna, 33 matadores e 131, fra banderilleros, picadores e altri addetti all’allevamento, alla preparazione e, infine, all’uccisione dei tori da combattimento.
Gli ultimi a cadere in Spagna, nel 1992, erano stati due banderilleros, Manolo Montoliu e Ramón Soto Vargas, ma in America Latina le tragedie nelle arene non hanno conosciuto pause e le più recenti sono ancora molto fresche: il 3 giugno scorso, dopo 32 giorni di agonia, se n’è andato «El Pana», al secolo Rodolfo Rodriguez, 64 anni, il decano dei toreri messicani, e venti giorni prima, sorte analoga era toccata a un «novizio» peruviano di appena 20 anni, Renato Motta de Solar.
La «Fiesta nacional», come è definita la corrida in Spagna, ha smesso di essere nazionale già da alcuni anni. L’hanno abolita, per prime, le isole Canarie, imitate dalla Catalogna che, dopo lunghe discussioni e una raccolta di 180 mila firme, ha chiuso le «plazas de toros» nel gennaio del 2012, mettendo definitivamente al bando i combattimenti.
La controffensiva è partita l’anno scorso da Madrid, dove il Partido Popular, conservatore, al governo dal 2011, ha messo mano a una normativa che preservasse la corrida come «bene culturale nazionale», salvaguardato da un’apposita legge sulla Protezione del Patrimonio immateriale. Le corride, più di duemila in Spagna ogni anno, muovono interessi economici, valutati approssimativamente attorno ai due miliardi di euro.
E. Ro. – Il Corriere della Sera – 11 luglio 2016