Cipolle, carote e patate coltivate secondo metodo biologico hanno lo stesso contenuto di polifenoli e antiossidanti contenuti negli ortaggi da agricoltura convenzionale. Sono le conclusioni di un nuovo studio del National Food Institute dell’Università tecnica della Danimarca, appena pubblicato sul Journal of Agricultural and Food Chemistry. Secondo i sostenitori del “bio”, l’utilizzo di fertilizzanti e antiparassitari avrebbe un impatto negativo sul metabolismo delle piante e, di conseguenza, sulle caratteristiche nutritive e il sapore.
Nel 2009, uno studio della London School of Hygiene and Tropical Medicine della Food Standard Agency aveva suscitato scalpore affermando la sostanziale equivalenza tra alimenti convenzionali e biologici, per i livelli di specifici nutrienti o sostanze rilevanti sul piano nutrizionale.2
Tuttavia, molte ricerche di minore entità avevano riportato maggiori livelli di alcuni nutrienti in prodotti bio, come le fragole.
Nella stessa direzione uno studio francese, che contraddiceva l’analisi britannica concludendo che “i prodotti derivati da coltivazione biologica contengono maggiore sostanza secca e minerali – come ferro e magnesio – ma anche maggiori quantità di antiossidanti, come i fenoli e l’acido salicilico”.3
L’Università danese ha giustificato il prezzo più elevato degli alimenti biologici, in termini di rispetto dell’ambiente, del benessere animale, della freschezza e del gusto. Tuttavia, le differenze nutrizionali e i possibili vantaggi per la salute dei consumatori sono ancora controversi, in assenza di dimostrazioni scientifiche.
«L’obiettivo del nostro studio è stato la comparazione dei contenuti di determinati flavonoidi e acidi fenolici tra prodotti (cipolle, carote, patate) derivati da coltivazioni con metodo biologico e convenzionale. … in ragione di tecniche agronomiche, localizzazione geografica e caratteristiche dei terreni», hanno indicato gli autori.
Le coltivazioni, sotto esame per due anni, non hanno mostrato differenze rilevanti nel tenore di polifenoli. L’unica variazione riguarda l’acido clorogenico, maggiore nelle patate “bio”. In conclusione i ricercatori hanno ritenuto sostanzialmente equivalenti gli ortaggi da coltivazioni biologiche e convenzionali.
Però, hanno anche osservato che le ragioni per produrre e consumare “bio” non si esauriscono nei benefici personali legati a nutrizione o salute. C’è la tutela delle colture e dei suoli con tecniche agronomiche responsabili (rotazione delle colture, piantumazione di siepi e alberi, coltivazione contemporanea di piante diverse), la non immissione nell’ambiente di sostanze chimiche di sintesi (concimi, diserbanti, anticrittogamici, insetticidi, pesticidi). E l’attenzione ai cibi di stagione, alla freschezza più che alla conservabilità, al sapore prima che all’aspetto esteriore.
La diatriba rimane irrisolta. Anche perché vanno considerati gli sviluppi della “terza via”: la produzione integrata, in cui l’utilizzo di tecniche agronomiche responsabili si abbina a un uso controllato di fitofarmaci; e le ragioni delle produzioni sostenibili, che – metodo bio o convenzionale che sia – considerano l’impatto ambientale dei processi nella loro complessità, con particolare attenzione ai consumi di energia e di acqua.
Ilfattoalimentare.it
10 novembre 2010