Già presentato un disegno di legge a firma Alfano, Bersani, Casini. Per velocizzare l’iter andrà in commissione in sede legislativa, cioè senza passare dall’aula
«Allo scopo di garantire la trasparenza e la correttezza nella gestione contabile e finanziaria, i partiti e i movimenti politici» dovranno avere i loro bilanci certificati da «società di revisione iscritte all’albo speciale tenuto dalla Consob». Recita così il primo comma dell’emendamento al decreto legge fiscale depositato dal relatore Gianfranco Conte, ma subito giudicato inammissibile dal presidente della Camera Gianfranco Fini «vista l’estraneità di materia e preso atto della mancanza di consenso unanime dei gruppi -scrive Fini- sull’esistenza di aspetti problematici che rende inammissibile l’emendamento». A questo punto l’unica strada resta quella del disegno di legge che per molti vuol dire un rinvio a tempi più lunghi per intervenire su un tema tornato di grande attualità dopo lo scandalo che ha travolto la Lega.
ITER RAPIDO – Ma i leader della maggioranza pensano ad un percorso a tappe forzate: un ddl che porta la firma dei leader di Pdl, Pd e Terzo Polo, Alfano, Bersani e Casini da approvare in commissione Affari Costituzionali in sede legislativa, ovvero senza passare dall’aula. Appunto un iter ultrarapido. Era questa l’ipotesi su cui si ragionava già nei giorni prima del tentativo, andato male, di inserire le nuove norme sui bilanci dei partiti nel decreto fiscale. Tuttavia anche il tentativo di approvazione lampo potrebbe saltare: per l’approvazione in sede legislativa occorre infatti il via libera all’unanimità della commissione. Bastano le firme di nove deputati per stoppare la «legislativa» e in commissione Affari Costituzionali Idv e Lega possono contare su sette deputati, l’ottavo no è gia arrivato dal radicale Maurizio Turco. A questo punto basterebbe un solo franco tiratore per far saltare tutto.
TESTO IDENTICO – Spiega il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto: «A questo punto l’unica strada è la presentazione di un disegno di legge alla Commissione Affari Costituzionali puntando a farlo approvare in via legislativa». «Prendiamo atto della valutazione di inammissibilità dell’emendamento al decreto fiscale che contiene le norme sulla trasparenza dei bilanci dei partiti -aggiunge il capogruppo del Pd Dario Franceschini- è una valutazione del presidente della Camera che rispettiamo. La volontà dei gruppi che sostengono quel testo era quella, attraverso l’emendamento al decreto, di fare entrare in vigore la norma in tempi brevissimi». «In nome di questo obiettivo -aggiunge- c’è già un accordo fra i gruppi che sostengono il governo per una proposta di legge con identico testo da approvare in commissione Affari Costituzionali in sede legislativa in tempi brevissimi».
BUFERA IN COMMISSIONE – In commissione finanze la Lega e l’Idv di Di Pietro si erano opposte con forza alla strada dell’emendamento e lo stesso presidente della Commissione Finanze Gianfranco Conte aveva già ravvisato che l’emendamento era a forte rischio. «Allo stato è da ritenersi inammissibile» aveva spiegato al termine della seduta della commissione. «Lo sottoporremo al presidente della Camera -aveva aggiunto- ma credo che anche lui sarà d’accordo su questa posizione. In un primo momento sembrava ci fosse unanimità tra i gruppi poi questa unanimità è venuta meno». Anche un esponente del Pd, Salvatore Vassallo, seppur a titolo personale, aveva espresso perplessità sull’ammissibilità. «C’è stato un dibattito piuttosto animato -ha spiegato Vassallo- è discutibile che lo si possa fare alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale sugli emendamenti estranei per materia ai decreti legge, come ha sottolineato anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Non si può inserire nel decreto fiscale una norma che non riguarda il flusso delle risorse che vanno ai partiti ma sulla rendicontazione».
DI PIETRO SU TWITTER – Antonio Di Piero si affida invece a Twiitter per criticare anche nel merito la riforma. «Incredibile: secondo la proposta ABC le multe ai partiti per irregolarità le decideranno presidenti di Camera e Senato». E ancora: «Il paradosso e la malattia antica della politica italiana: il controllato che nomina e controlla il controllore». Ma la maggioranza difendono sostanza e procedura seguita. Spiega il presidente dei deputati del Pd Fabrizio Cicchitto: «Abbiamo condiviso la presentazione di un emendamento al decreto sulla semplificazione tributaria che riproduce il testo riguardante la regolamentazione dei controlli sulle finanze dei partiti concordato fra il Pdl, il Pd, l’Udc e il Fli per l’urgenza che la questione presenta». Mentre da Monasterace era intervenuto anche il segretario del Pd Luigi Bersani: «Spero di mettere in un decreto queste prime norme sui contributi ai partiti, su cui abbiamo trovato l’accordo, se ce ne danno la possibilità i presidenti delle Camere. Questo per farle partire immediatamente».
I PUNTI SALIENTI – Resta comunque l’intesa nel merito raggiunta da Pdl, Pd e Terzo Polo per controllare la gestione del finanziamento pubblico. Questi i punti qualificanti dell’emendamento giudicato inammissibile. Oltre al Controllo da parte di società di revisione era prevista l’istituzione di una Commissione per la Trasparenza «Avrà sede presso la Camera che provvederà, insieme al Senato, ad assicurarne l’operatività anche attraverso la dotazione di personale di segreteria -si legge nel testo- L’organismo sarà composto dal presidente della Corte dei Conti che coordina, da quello del Consiglio di Stato e dal primo presidente della Cassazione. Ciascuno di loro potrà avvalersi fino a un massimo di 2 magistrati appartenenti ai rispettivi ordini giurisdizionali». Nessuno di loro percepirà «alcun compenso». E ancora «sul sito internet di ogni partito e di quello della Camera, entro il 15 giugno di ogni anno, dovranno essere pubblicati il rendiconto di esercizio dei partiti; la relazione del collegio sindacale; quella della società di revisione; i bilanci delle imprese partecipate; il verbale di approvazione del rendiconto». Tra l’altro è poi previsto il divieto «di investire i soldi pubblici ricevuti in strumenti finanziari diversi dai titoli di Stato italiani».
Corriere.it – 13 aprile 2012