Società senza dipendenti, o che non fatturano nulla, o che hanno chiuso in perdita gli ultimi esercizi: il primo gruppo di aziende che entrerà nella “revisione straordinaria” disposta dal taglia-partecipate è costituito soprattutto da società strumentali, che producono beni e servizi per gli enti locali, e non servizi di interesse generale. Dunque nessuna azienda di trasporti, o di gas e acqua. Due terzi sono al Nord, le altre nel resto del Paese. «Abbiamo fatto una riforma seria – rivendica il ministro della Pubblica Amministrazione Marianna Madia – che ha la sua base nei numeri e nei criteri del rapporto Cottarelli. Si chiudono le partecipate inutili, come ad esempio quelle che hanno più consiglieri di amministrazione che dipendenti».
Il numero è ancora incerto, ma fonti ministeriali parlano di 2.300 società su 8.893, quasi una su quattro, che entro il 30 settembre dovrebbero essere coinvolte dai piani di razionalizzazione disposti in seguito alla riforma e che quindi potrebbero essere chiuse, o fuse con altre società, oppure ristrutturate. Un primo nucleo, di circa 1200 società, era già stato identificato al momento dell’entrata in vigore della legge Madia, nel 2014; le altre, circa 1.100, sono state selezionate successivamente. Numeri che ancora potrebbero crescere: ogni anno ci sarà una nuova revisione. I precedenti tentativi di tagliare le partecipate inutili si sono arenati, ma questa volta il ministro assicura che non accadrà: «Ci sono per la prima volta sanzioni per le amministrazioni che non le chiudono e la vigilanza di una direzione apposita del ministero dell’Economia e delle Finanze sull’attuazione dell’intero percorso. Ovviamente, come tutte le riforme, si tratta di processi che richiedono tempo e determinazione nell’attuazione». Ma le nuove norme stanno già innescando un processo virtuoso, rileva Marianna Madia: «Credo che si stia diffondendo una diversa attenzione sul tema. In alcune amministrazioni sono già in corso processi virtuosi e “spontanei” di razionalizzazione, innescati certamente dalla buona volontà di tanti amministratori, ma anche dalla consapevolezza che oggi esistono norme che dovranno essere applicate».
Il processo però non sarà indolore, avvertono i sindacati: già in questa prima fase, secondo i calcoli della Cgil, verranno coinvolti circa 73 mila lavoratori. «Non sono coperti dagli ammortizzatori sociali, perché si è sempre detto che i contributi non andavano pagati per non aggravare la spesa. – dice Michele Gentile, coordinatore del dipartimento Settori Pubblici della Cgil – Certo hanno la Naspi, che però al massimo dura sei mesi, poi non c’è più niente. Sono dipendenti privati, non possono essere riassorbiti dalla Pubblica Amministrazione, a meno che non siano ex dipendenti pubblici assunti con concorso. Il decreto Madia dice solo che si fa una lista di mobilità, e che le Regioni la agevolano. Norme che sono figlie del grande limite del decreto Madia: considera le società partecipate tutte come poltronifici, e fonti di ruberie». «Noi siamo per salvare quelle che funzionano, che sono utili. – dice il segretario confederale della Uil Guglielmo Loy – La legge in effetti non tiene sempre conto del criterio funzionale, non quando parla di fatturato inferiore a 500 mila euro per esempio: ci sono realtà piccole che funzionano, non si capisce perché dovrebbero essere soppresse o accorpate. Mentre è evidente che le scatole vuote vanno superate. Distinguiamo le società che hanno una ragione, che svolgono un servizio: se anche devono essere soppresse, quel servizio lo svolgerà qualcun altro, così si può salvaguardare anche l’occupazione».
Repubblica – 14 luglio 2017