I social media hanno decisamente cambiato le modalità attraverso le quali l’informazione alimentare viene diffusa prima e metabolizzata poi: se certamente non consentono di andare in profondità su temi ad alto contenuto scientifico, tuttavia sono rapidi nel divulgare aspetti e segnali che in precedenza potevano essere confinati a semplici “rumors” o fughe di notizie (magari non confermate poi). Creando un nuovo “ambiente” alla stessa (percezione della) sicurezza alimentare.
In base ad uno studio apparso su Public Understanding of Science entro il progetto FoodRisC ((Perceptions and communication of food risk/benefits across Europe), i social media (Facebok e twitter, per citare I più comuni) sarebbero più veloci nel dare informazioni anche importanti. Ma con una maggiore selezione dei temi. Partendo dal caso di studio della carne di maiale alla diossina in Irlanda nel 2008, lo studio ha enfatizzato un aspetto magari atteso, ma che è bene rimarcare: i social media si “nutrono” di fonti ufficiali in rete, al 90% costituite da giornali. Mentre le fonti tradizionali sono più diversificate con una grande varietà di attori, soggetti informati dei fatti e autori.
La crisi della diossina nella carne di maiale nel 2008 è considerato uno dei primi casi in cui i social media sono stati estensivamente usati per veicolare informazioni. Ricordiamo che in tale occasione si raggiunsero livelli di diossina pari oltre a 200 volte i limiti europei. Il 6 dicembre del 2008 il governo irlandese ordinò una vasta recall di prodotti a base di carne suina.
Entro il progetto FoodRisC, è stata allora condotta una analisi dei contenuti dei media su 114 giornali stampati e 107 blog e 68 tweet. Facebook è stato però escluso dalla ricerca in quanto protetto da aspetti di privacy (i tweet sono pubblici mentre i commenti su FB sono soggetti a restrizioni).
La velocità
I risultati hanno dimostrato che la velocità di propagazione dei contenuti con i social media è stata più elevata rispetto ai media tradizionali, ma anche il declino è stato più rapido. I processi editoriali e di controllo presenti nei media tradizionali sono stati quindi bypassati. Inoltre i social media non devono far competere contenuti diversi, dettando una agenda con delle priorità, ma possono “sparare” un numero elevato e illimitato di “cartucce” potenziali.
Altro aspetto interessante: i social media hanno potuto dispiegare il proprio potenziale solo dopo il picco mediatico degli “old media”. Agendo di “rimbalzo” e enfatizzando particolari aspetti, ma a partire da fonti “ufficiali” considerate più credibili.
Inoltre i social media si sono concentrati su un numero minore di temi: la reazione globale, la gestione governativa, e come le vite dei cittadini sono state colpite dalla crisi. Per contro i media tradizionali si sono soffermati su aspetti più ampi: includendo l’analisi economica e delle cause più generali.
Le conclusioni? Per comunicare in modo efficace anche sugli “old media” in tema di sicurezza alimentare sembra necessario avere una adeguata comprensione di come i “new media” funzionino.
In particolare, l’azione immediata ed il messaggio dei media tradizionali sembra comunque importante anche per il rimbalzo successivo sui new media.
Inoltre, se i media tradizionali hanno un atteggiamento “più negativo” nei titoli che nel testo, i blog e forum sono l’opposto. Se quindi la stampa ordinaria fa sensazionalismo con i titoli, per moderarsi nel messaggio, blog e forum sono più equilibrati subito, e solo entro la lettura “ragionata” del messaggio indicano aspetti critici. Un approccio più obiettivo insomma: si sa, in rete si fa presto a controllare la realtà e a incrociare le fonti. Poco spazio quindi a suggestioni o al “marketing” editoriale di una volta, tipo “strilloni”.
Sicurezza alimentare.it – 8 maggio 2013