Paolo Baroni. A meno di 24 ore dalla convocazione del tavolo «politico» che avrebbe dovuto tirare le fila degli incontri degli ultimi mesi il confronto governo-sindacati sulle pensioni slitta al 27. E’ il segnale che i nodi emersi la scorsa settimana (lavoratori precoci, usurati e risorse complessive) non sono stati ancora risolti. I sindacati, per la previdenza, puntano infatti ad ottenere 2,5 miliardi di euro a fronte dei 2 «concessi» dal Tesoro. Limite che finora è risultato invalicabile.
Rinvio «concordato»
Il rinvio, spiega una nota del ministero del Lavoro, è stato «concordato» dal ministro Poletti e dal sottosegretario Nannicini coi segretari generali di Cgil, Cisl e Uil. «Una settimana in più può tornare utile» convengono tutti. «Abbiamo fatto un buon lavoro e la ricalendarizzazione dell’incontro consentirà un approfondimento ulteriore», ha spiegato ieri il responsabile del Lavoro. «Serve un lavoro fatto bene tra governo, Inps, Inail e tutti gli enti interessati in modo di avere tutti i numeri in mano. E poi potremo decidere. Non vogliamo fare degli esodati dell’Ape». E soprattutto occorre capire meglio la dimensione della nuova legge di bilancio, facevano notare ieri altre fonti di governo.
Per il resto, i nodi sul tavolo sono esattamente quelli della settimana scorsa. I lavoratori precoci che hanno iniziato a lavorare prima dei 18 anni per i sindacati devono poter andare in pensione con 41 anni di contributi anziché con 42 anni e 10 mesi. Per chi ha iniziato prima dei 16 anni si tratterebbe di applicare uno sconto di 3-4 mesi per ogni anno lavorato prima della maggiore età. Una misura che interessa circa 80 mila persone e che però costa ben 600 milioni di euro.
Lavori «faticosi»
L’altro punto ancora da definire in dettaglio riguarda i lavori usuranti. In questo caso si tratta di ammorbidire le norme che regolano il pensionamento di questi soggetti, e di dare risposte ad altre categorie come edili, macchinisti, maestre d’asilo e infermieri di sala operatoria che aspirano ad un trattamento simile. Per loro si pensa di introdurre la figura dei «lavori faticosi» e consentendo così l’accesso alla versione sociale dell’Anticipo pensionistico (Ape) per esentarli da ogni onere. «Queste sono le ultime questioni da definire – spiega il segretario confederale Uil, Domenico Proietti -. Ma non vedo grossi ostacoli per chiudere». Ottimismo si registra anche in casa Cisl. Diverso invece l’atteggiamento della Cgil che non nasconde le sue critiche, in particolare al meccanismo dell’Ape, definito «ingiusto» e «divisivo», perché la soglia dei 1200 euro netti oltre la quale il prestito diventa oneroso, ad esempio, taglia fuori tutti i lavoratori metallurgici. Era stato ipotizzato di alzare il tetto almeno a 1250 euro, ma anche questa soluzione è rimasta sinora in sospeso.
I 2 miliardi verranno confermati o no? Lo capiremo lunedì o al più tardi il giorno seguente, appunto il 27, quando il governo aggiornerà le stime di crescita e ricalcolerà il deficit. A quel punto il quadro sarà più chiaro.
La Stampa – 21 settembre 2016