Cgil, Cisl e Uil unite chiedono al governo Monti «un forte intervento a sostegno di salari, stipendi e pensioni» attraverso una «riduzione del carico fiscale» da finanziare con «una imposizione sui patrimoni mobiliari e immobiliari» e con la lotta l’evasione e all’elusione fiscale.
Il taglio delle tasse, sostengono i sindacati, oltre che rispondere a esigenze di equità, rilancerebbe la domanda interna, «indispensabile per far tornare a crescere la nostra economia».
Questa la ricetta che le confederazioni hanno scritto in un documento di 9 pagine approvato ieri dalle tre segreterie, che si sono riunite insieme per la prima volta dal 7 maggio 2008, quindi dopo quasi quattro anni di rottura. Oltre alla patrimoniale e a meno tasse sui lavoratori, i sindacati chiedono una netta modifica della riforma Fornero; la riduzione dei contratti precari e, implicitamente, la garanzia che l’articolo 18 sui licenziamenti non venga toccato; il potenziamento degli ammortizzatori sociali; che le liberalizzazioni non mettano in discussione i servizi universali delle poste e delle ferrovie.
Con questo documento i sindacati andranno al tavolo, insieme con le associazioni imprenditoriali, che il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, convocherà per la fine della settimana o gli inizi della prossima. Un tavolo per discutere della riforma del mercato del lavoro, ma sul quale già si intravedono due questioni molto delicate. La prima, posta appunto dal documento di Cgil, Cisl e Uil, che chiede in sostanza una riscrittura della riforma delle pensioni. La seconda è quella dell’articolo 18 che aleggia fin dall’inizio sulla trattativa e che è stata rilanciata ieri dal presidente della Confindustria. «Ci siederemo al tavolo con senso di responsabilità, senza ideologie, senza dei no prima di sederci. Ci aspettiamo che i sindacati facciano la stessa cosa», ha detto Emma Marcegaglia. Aggiungendo che ci sono tre temi da affrontare: «La flessibilità in entrata, gli ammortizzatori sociali che siamo d’accordo si possano rafforzare e la flessibilità in uscita», che fuori dal gergo significa appunto l’articolo 18. Una questione che non può essere elusa, ha concluso Marcegaglia, perché «in linea con la Bce e con la Commissione europea dobbiamo modernizzare il nostro mercato anche su questo».
Immediata la replica della leader della Cgil: Susanna Camusso: «Il tema dell’articolo 18 non c’è». E un no secco è arrivato anche dal segretario della Cisl Raffaele Bonanni («bisogna sgombrare il campo da queste ideologie») e da quello della Uil, Luigi Angeletti. Ma sia Fornero sia lo stesso presidente del Consiglio, Mario Monti, hanno più volte detto che nella discussione non può esserci il tabù dell’articolo 18. I sindacati sanno però di poter contare sull’appoggio del Pd. Lo stesso appoggio che hanno anche sulle pensioni, su questo pure da parte del Pdl.
Oggi la commissione Lavoro della Camera, dove ieri Cesare Damiano (Pd) ha svolto la relazione di maggioranza, consegnerà il parere sul decreto milleproroghe alla commissione Bilancio, raccomandando due modifiche della riforma delle pensioni: la prima per estendere ai lavoratori in esubero ricompresi negli accordi fino al 31 dicembre scorso (e non più al 4 dicembre) e a chi è rimasto senza pensione e senza stipendio la possibilità di andare in pensione con le vecchie regole e la seconda per togliere le penalizzazioni per chi lascia il lavoro prima dei 62 anni di età.
I sindacati chiedono anche di più, sostenendo che la riforma, al solo scopo di «fare cassa», ha un impatto «insostenibile e iniquo sulla struttura dei diritti previdenziali di milioni di persone senza nessuna gradualità». Ma il governo è disponibile solo a qualche modifica a favore di chi si è licenziato incentivato dall’azienda, in vista di andare in pensione, ed è rimasto «fregato» dall’improvviso aumento dei requisiti.
19 gennaio 2011 – corriere.it