Lo scenario, vale dirlo subito, è da intervento davvero impegnativo. Un aumento anticipato di trent’anni, dal 2050 al 2020, dell’obiettivo di pensionamento a 70 anni.
Una riforma draconiana, quella proposta dal Manifesto per la crescita lanciato dal Sole 24 Ore, ma capace di liberare risorse importanti fin dai primissimi anni della sua applicazione. E, soprattutto, di cancellare dai grafici di lungo periodo della spesa previdenziale la fatidica “gobba” che, anche dopo gli ultimi interventi disposti con la manovra correttiva (legge 111/2011), viene solo spostata in avanti di un paio di decenni.
L’esercizio che proponiamo è basato su una nostra simulazione che riguarda le pensioni di vecchiaia delle principali gestioni Inps. Non tiene dunque conto degli assegni di anzianità (che si possono ottenere con 40 anni di contributi a prescindere dall’età o con il meccanismo delle quote). E non tiene conto, ovviamente, delle altre pensioni, quelle dei dipendenti pubblici, quelle dell’Enpals e quelle dei professionisti iscritti alle casse privatizzate.
Abbiamo immaginato di modificare la normativa attuale introducendo due scalini (o scaloni, per i critici) che prevedono l’innalzamento dell’età per la vecchiaia nel gennaio 2016 e nel gennaio 2019. Il primo incremento sarebbe di un anno e qualche mese per gli uomini (da 65 e tre mesi a 66 e sette mesi) e di sei anni e qualche mese per le donne (da 60 anni e 3 mesi a 66 anni e 7 mesi), mentre il secondo scalino è uguale per i due sessi ed è di tre anni e qualche mese (si passa dai 66 e sette mesi ai 69 e 11 mesi). I mesi in più sono determinati dal meccanismo che, dal 2013, aggancia il momento del pensionamento all’aspettativa di vita e sono stati ipotizzati utilizzando le tavole di mortalità Istat (ipotesi centrale, periodo 2007-2050). A questi requisiti anagrafici, naturalmente, va poi aggiunta la finestra unica (12 mesi in più per i dipendenti e 18 mesi in più per gli autonomi).
Ecco che, al gennaio del 2020, i pensionamenti per vecchiaia Inps partono da 69 anni e 11 mesi per entrambi i sessi. Negli anni successivi (si vedano le tabelle) l’aumento dell’età è solamente legato all’aspettativa di vita e arriva ai 71 anni e 7 mesi nel 2035, l’anno in cui la riforma Dini compie 40 anni e l’intero sistema è passato al calcolo contributivo pieno.
Quanto si risparmierebbe con questa riforma? Il calcolo che proponiamo riguarda la spesa sul Fondo pensioni lavoratori dipendenti e le gestioni speciali dei lavoratori autonomi Inps. Poiché il primo gradino è nel 2016 i primi effetti di cassa si determinano nel 2017, con un calo di 317 milioni che sale a quasi 2 miliardi nel 2018, 3,3 miliardi nel 2019 e 4,2 miliardi nel 2020. Una decina di miliardi, in pratica, nei primi quattro anni. Ma la dote cresce, e di molto, negli anni successivi, fino a raggiungere i quasi 45 miliardi del 2045 e i 66,4 miliardi del 2050, quando la spesa pensionistica per le gestioni considerate scenderebbe di 1,3 punti di Pil.
Come si diceva è proprio il rapporto tra spesa previdenziale e prodotto interno a cambiare completamente fisionomia con l’anticipo della pensione di vecchiaia a 70 anni nel 2020. La “gobba” scomparirebbe lasciando spazio a un andamento quasi lineare attorno al 9,3% del Pil fino al 2041, quando poi è previsto addirittura in calo sotto quota 9%. Il raffronto proposto in grafica è con l’andamento a «legislazione vigente» che fotografa una punta di spesa verso quota 10,5% del Pil tra il 2041 e il 2046, una proiezione che tiene conto dell’ipotesi di crescita del prodotto interno contenuta nello scenario centrale di base della Ragioneria generale dello Stato, valida nei confronti in sede internazionale (in pratica si stima una crescita in termini reali dell’1,5% l’anno).
E l’impatto sociale della riforma? La nostra simulazione non si spinge a calcolare quanto crescerebbero le pensioni di vecchiaia degli ultrasettantenni del 2020, anche perché un intervento di questa portata dovrebbe essere necessariamente accompagnato da altre politiche di sostegno sul mercato del lavoro. Questi futuri lavoratori più anziani, per esempio, potrebbero contare su uno sgravio contributivo che si traduce in un salario netto più elevato. Per questo abbiamo limitato il nostro esercizio al calcolo degli individui interessati dalla manovra sull’età. Nel 2017, l’anno successivo al primo scalino, verrebbero «fermate al lavoro» circa 75mila persone, che salgono a 219mila nel 2018, 304mila nel 2019 e 389mila nel 2020.
In totale un milione di lavoratori nei primi 4 anni di allineamento verso l’alto della vecchiaia. Un numero che naturalmente crescerebbe (con i risparmi aggregati) se, oltre la nostra simulazione, si considerassero anche i dipendenti pubblici e gli altri lavoratori la cui pensione futura non è erogata dall’Inps
Ilsole24ore.com – 20 luglio 2011