Risponde del reato di lesioni colpose il medico competente di un nosocomio che abbia omesso di indicare al datore di lavoro la necessità di utilizzare aghi cannula dotati di meccanismi di sicurezza (Butterfly) al fine di prevenire il rischio di infezioni da parte del personale infermieristico. Diversamente opinando si vanificherebbe la portata dell’articolo 35 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81” Testo unico sulla sicurezza sul lavoro- TUSL” che impone al medico competente di collaborare con il datore di lavoro alla stesura del documento di valutazione dei rischi (Dvr).
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza 1° giugno 2021, n. 21521, che ha confermato la pronuncia emessa dalla Corte di appello di Brescia nei confronti di un medico competente di una struttura ospedaliera, giudicato responsabile del reato di lesioni personali colpose in danno di un infermiere professionale che aveva contratto il virus dell’epatite perché, nell’effettuare un prelievo ematico su una paziente affetta da HVC e HVB, era stato accidentalmente punto dall’ ago che stava utilizzando.
In particolare la Corte di appello, aveva accertato che la tematica del rischio biologico conseguente all’utilizzo di aghi senza protezione era ben nota all’epoca dell’infortunio (agosto 2013) ed evidenziato che tali presidi non erano contemplati dal DVR perché non erano stati segnalati dal medico competente nemmeno in occasione della riunione periodica annuale prevista dall’articolo 35 del TUSL («Nel corso della riunione possono essere individuati codici di comportamento e buone prassi per prevenire i rischi di infortuni e di malattie professionali»).
La sentenza della Cassazione
I difensori dell’ imputato avevano sostenuto che: (i) il medico competente «non ha poteri di decisione e di spesa»; (ii) la pronuncia della Corte territoriale sarebbe stata affetta da «evidente illogicità» perché aveva assolto il datore di lavoro e il direttore del pronto soccorso quale dirigente delegato alla sicurezza sul lavoro. Tesi che non ha colto nel segno. Il Supremo Collegio ha ribadito l’orientamento giurisprudenziale secondo cui:
– l’obbligo di collaborazione con il datore di lavoro da parte del medico competente comporta un’effettiva integrazione nel contesto aziendale del sanitario, il quale non deve limitarsi ad un ruolo meramente passivo, ma deve dedicarsi ad un’attività propositiva e informativa in relazione al proprio ambito professionale (Cassazione, Sez. 3, sentenza 27 aprile 2018, n. 38402) ;
– il medico competente può rispondere, nella qualità di titolare di un’autonoma posizione di garanzia, delle fattispecie di evento che risultano di volta in volta integrate dall’omissione colposa delle regole poste a presidio della salvaguardia della salute dei lavoratori sui luoghi di lavoro (Cassazione, Sez. IV, sentenza 21 gennaio 2020, n.19856: tra gli obblighi incombenti sul medico competente risulta di fondamentale rilievo la programmazione e lo svolgimento della sorveglianza sanitaria attraverso protocolli sanitari, calibrati sui rischi specifici, tenendo conto degli indirizzi scientifici più avanzati);
– «al medico competente non è affatto richiesto l’adempimento di un obbligo altrui quanto, piuttosto, lo svolgimento del proprio obbligo di collaborazione, espletabile anche mediante l’esauriente sottoposizione al datore di lavoro dei rilievi e delle proposte in materia di valutazione dei rischi che coinvolgono le sue competenze professionali in materia sanitaria» (Cassazione, sentenza, Sez. III, sentenza 15 gennaio 2013, n. 1856), fermo restando che può assumere informazioni non soltanto dal datore di lavoro ma anche di propria iniziativa, ad esempio in occasione delle visite agli ambienti di lavoro o perché fornitegli direttamente dai lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria o da altri soggetti ( Cassazione, Sez. III, sentenza 9 agosto 2018, n. 38402).
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