Al Pd lo hanno battezzato il «disaccordo concordato». E ai più anziani tra i dirigenti del partito ha ricordato un termine del politichese del tempo che fu: le convergenze parallele.
Tradotto, significa che a Largo del Nazareno sperano di gestire senza strappi, rotture e polemiche con la Cgil questa vicenda della riforma del lavoro.
Non sarà facile. Quando il provvedimento arriverà in aula il Pd sarà costretto a dire il suo sì, anche di fronte al no di Camusso. «Il nostro voto favorevole, pur con tanti distinguo, non può essere in discussione», sottolinea infatti Enrico Letta. Bersani, che in serata parla con la leader della Cgil, preferisce non essere così esplicito. È fortemente irritato con il governo: «Non ha cercato con convinzione l’accordo. I patti non erano questi, i patti erano che si sarebbe tentata l’intesa in tutti i modi», è il suo rimprovero.
Quello che più temono in questo momento i vertici del Pd è lo scoppio di focolai di tensione sociale. Il segretario è stato chiaro con i suoi: «Prepariamoci, perché adesso si apre una fase non facile. La questione sociale esiste e potrebbe aggravarsi nei prossimi mesi. Chi protesta, chi non ce la fa più a fare sacrifici va ascoltato». A questo proposito si mostra preoccupato anche Stefano Fassina: «Il governo rifiutando le aperture fatte dalla segreteria della Cgil alimenta una tensione sociale che non fa bene a nessuno. Quando parlava dell’articolo 18 in conferenza stampa Monti sembrava Sacconi».
Sul merito del provvedimento, come era prevedibile, nel Pd ci sono reazioni diverse. Beppe Fioroni non ha dubbi: «Credo che sia stata trovata, sia nel metodo che nel contenuto, una soluzione importante. Si incentiva il lavoro a tempo indeterminato, vengono rafforzati gli ammortizzatori sociali, l’articolo 18 resta con una significativa manutenzione. Nella riunione, altro fattore degno di nota, si è registrata l’unità su tanti punti. Adesso nessuno faccia saltare il banco». Di tutt’altro tenore le osservazioni di Fassina: «Da quello che si può capire finora ci sono dei punti positivi, ma anche molti buchi, per esempio per quel che riguarda gli ammortizzatori sociali. La parte che riguarda l’articolo 18 non va bene perché lo svuota completamente». Secondo il responsabile economico infatti va introdotto il sistema tedesco nel senso pieno del termine, ossia affidando sempre al giudice la decisione, anche nel caso dei licenziamenti economici. La pensa nello stesso modo Cesare Damiano: «Il modello tedesco, al quale si fa spesso riferimento, prevede nel caso di licenziamento per motivi economici senza giusta causa di lasciare al giudice la possibilità di scegliere tra reintegrazione e risarcimenti».
La linea ufficiale del Pd sull’articolo 18 è questa. E pubblicamente Bersani dice: «Su questa riforma dovrà pronunciarsi il Parlamento». Come a dire che è pronto a chiedere delle modifiche: «Prenderemo le nostre iniziative», assicura Fassina. Ma Bersani sa bene che non si faranno altri passi avanti nella ricerca di un’intesa con la Cgil. Inevitabilmente, le strade del Pd e quelle del sindacato di Camusso si divideranno. E a largo del Nazareno, nonostante le dichiarazioni contrarie, ci si prepara già ad affrontare l’eventuale richiesta del governo di inserire la riforma in un decreto.
corriere.it – 21 marzo 2012