Repubblica. «Sembra che tirassero a sorte quei numeri», ha scritto la giudice quando ha letto le intercettazioni dei carabinieri. All’assessorato alla Salute della Sicilia truccavano i dati dei contagi e dei tamponi per evitare il passaggio in zona rossa. La dirigente generale Maria Letizia Di Liberti, da ieri agli arresti domiciliari per falso, chiedeva all’assessore Ruggero Razza: «Paese di Biancavilla, i deceduti glieli devo lasciare o glieli spalmo?». Risposta: «E spalmiamoli un poco». Era il 4 novembre. L’assessore, che ieri ha ricevuto un avviso di garanzia, apprezzava l’intraprendenza della dirigente. E il 27 dicembre, rilanciò lui stesso: «Stringiamo ‘na picca ». Un poco. E, d’incanto, quel giorno i positivi diventarono 1.020, trenta in meno di quelli comunicati. Ora Razza si è dimesso, nega le accuse con un comunicato (davanti ai pm si avvale invece della facoltà di non rispondere): «Facevamo riferimento solo al trasferimento materiale dei dati sulla piattaforma, tenuto conto che sovente si riferivano a più giorni e non al solo giorno di comunicazione». Ma intanto ieri, per la prima volta, la Regione siciliana non ha diffuso il bollettino dell’emergenza Covid. Segno «dell’assoluto caos» (come lo chiamano i pm) scoperchiato in assessorato. L’inchiesta della procura di Trapani sui dati taroccati, condotta con i carabinieri del Nas e del comando provinciale, ha innescato un terremoto nella sanità siciliana.
Ai domiciliari sono finiti anche due collaboratori della dirigente generale: Salvatore Cusimano, funzionario regionale, ed Emilio Madonia, dipendente di una ditta che gestisce i flussi informatici dell’assessorato. Lo staff che gestiva i dati è stato intercettato da novembre ai giorni scorsi. E, adesso, sono 40 le falsificazioni contestate dal procuratore facente funzioni, Maurizio Agnello, e dalle sostitute Sara Morri e Francesca Urbani. I pm chiedevano il carcere per Maria Letizia Di Liberti. E altre posizioni sono al vaglio in questa inchiesta, che nei prossimi giorni verrà trasferita per competenza a Palermo.
Il movente
Il 4 novembre è il giorno in cui la Sicilia passa da zona gialla ad arancione, la dirigente è affranta: «L’assessore è seccato — spiega a un collaboratore — Mi ha detto: “È il fallimento della politica, non siamo stati in grado di tutelarci, i negozi che chiudono, se la possono prendere con noi, non siamo riusciti a fare i posti letto”. Ci dissi: “Ma non è vero. Reggiamo perfettamente”. Anche se in realtà — la dirigente abbassa il tono della voce, ndr — oggi è morta una, perché l’ambulanza è arrivata dopo due ore ed è arrivata da Lascari. Il magistrato ha sequestrato le carte… due ore l’ambulanza. Perché? Perché sono tutte bloccate nei pronto soccorso. Tutte». La sanità siciliana al collasso. Ecco perché truccavano i numeri. Per la gip Caterina Brignone, era un «disegno di natura politica a cui sembra estraneo il presidente della Regione Musumeci, che anzi pare tratto in inganno dalle false informazioni che gli vengono riferite». Ma il governatore dice di non sentirsi ingannato: definisce le dimissioni «un atto di grande responsabilità che fa onore all’avvocato Razza, conoscendone la formazione politica, culturale e l’integrità morale ». Eppure, raccontano le intercettazioni, qualche giorno fa, Musumeci si era arrabbiato con il suo assessore. Ecco cosa accadde.
L’emergenza rientrata
Il 19 marzo scorso, Palermo sta per diventare zona rossa. La dirigente Di Liberti informa Razza: «500 positivi in provincia di Palermo». Razza chiama il presidente della Regione: «Ti volevo dire che abbiamo una situazione molto difficile a Palermo e provincia. L’incidenza ha superato la quota dei 250 per 100 mila abitanti e solo oggi superiamo i 400 casi solo a Palermo». Musumeci non ha dubbi sul da farsi. L’assessore rilancia: «Si impone la necessità di dichiarare la zona rossa su tutta la provincia. Il dipartimento farà la proposta questa sera ». Ma passano le ore e Musumeci non ha più notizie di Razza. Il giorno dopo, decide di telefonargli. E lo affronta: «Non ti sei più fatto sentire — dice — Non so più niente su Palermo». Razza risponde sorpreso: «Cosa Palermo?». Musumeci insiste: «Per quanto riguarda la zona rossa». E a quel punto Razza dice: «Ah, no, i dati sono abbondantemente sotto i 250». Musumeci si arrabbia: «E minchia, ma allora perché mi avevi detto 400?». Razza: «No, ieri erano 400… ma nella settimana… sono stati 196». All’improvviso, erano spariti 200 contagi. La giudice definisce il piano di Razza e del suo staff uno «scellerato disegno, del quale ha pagato e continuerà a pagare il prezzo la popolazione siciliana», che non ha «potuto conoscere la reale esposizione al rischio pandemico e comportarsi di conseguenza».
Dirigente “veggente”
Il 6 dicembre, la dottoressa Di Liberti pone un problema ai suoi collaboratori: «Dobbiamo eliminare 25 decessi». Cusimano suggerisce: «Li mettiamo su Enna?». La dirigente è preoccupata per i dati su Catania: «Mizzica, abbiamo 2.100 da recuperare». Ovvero, dati occultati nei giorni scorsi. «Dice l’assessore — aggiunge la dirigente, ndr — quanti ne abbiamo recuperati e quanti ancora da recuperare?». Parlano del report giornaliero: «È sballato». 19 dicembre: «Mille positivi », informa un collaboratore. La dottoressa esclama al telefono: «Mii, assai». Suggerisce: «Lo sai che farei? Ne metterei qualcuno domani, che poi ne abbiamo pochi ». Sapeva già come sarebbe andata la curva dei contagi. La decideva lei. La giudice scrive di essere “sgomenta: «Gli indagati sono del tutto dimentichi delle tragedie personali, familiari e collettive che stanno ovviamente dietro quei numeri che avrebbero dovuto essere correttamente accertati e comunicati ».