Equini destinati alla macellazione ma dopati per le corse clandestine. Farmaci vietati in Italia e importati dalla Romania. Allevamenti abusivi in carrozzerie o angusti box. E’ la situazione degli animali nel capoluogo etneo, che passano dai maltrattamenti al barbecue tra controlli che non bastano, connivenze e l’assenza di una banca dati condivisa tra gli uffici che se ne occupano
«Noi qui, anziché con il canto del gallo, ci svegliamo con i nitriti dei cavalli». Randagio clandestino, il nome che ha scelto per la sua battaglia civile, è un residente del quartiere Angeli custodi di Catania. Esasperato, da anni denuncia la dilagante illegalità della zona: stalle abusive a due passi da una scuola, striminziti box dove al posto delle auto si tengono i puledri, corse e macellazione clandestine. Eppure sotto gli occhi di tutti. Una filiera che secondo l’anonimo rifornirebbe anche gli arrusti e mancia della città. «Vengono spacciati per tradizione catanese e invece sono solo un business tanto recente quanto incivile», dice amareggiato. Dietro al quale a volte c’è una filiera criminale che fa perdere le sue tracce tra complesse trafile burocratiche e connivenze.
«Quand’ero bambina la carne si mangiava solo una volta alla settimana, la domenica – racconta una signora classe ’50 – Di arrusti e mancia per la strada nemmeno si parlava. Erano pochi e considerati per gente di malaffare». «La via Plebiscito così piena di barbecue? Sarà da circa una decina d’anni», le fa eco un signore di poco più giovane. Dietro, ci sarebbero decine di cavalli cresciuti in strutture clandestine. Di queste, a Catania, solo una piccola parte viene scoperta dalle forze dell’ordine. Nel 2011 vengono sequestrati circa una trentina di cavalli allevati in stalle abusive a San Cristoforo, vicino alla stazione Acquicella, in via Mulino a vento e addirittura all’interno di strutture comunali come il parco Monte Po. Alcuni feriti durante le corse clandestine e curati in modo illegale.
«L’Asp veterinaria effettua sugli equini controlli ordinari e straordinari», spiega il dottore Sebastiano Palmeri. Una visita almeno una volta all’anno negli allevamenti con più capi ed esami del sangue di routine sugli animali. «Controlliamo anche la presenza del microchip e il benessere del cavallo – continua il veterinario – Cioè che spazio, luce, cibo, acqua e cure siano sufficienti». E non sempre lo sono. «Il problema principale da noi è lo spazio. Ma è normale in grandi allevamenti come quelli di viale Kennedy o di San Francesco La Rena che hanno dai 30 ai 100 capi». L’Asp si muove anche in appoggio alla polizia o su segnalazione. Sempre poche quelle dei cittadini, «che segnalano solo quando vengono molestati – ammette il dottore – E i cavalli non danno fastidio come i cani randagi». Eppure nella prima metà del 2012, fino a luglio, gli interventi straordinari sono stati 14. Con quattro denunce per maltrattamento e sanzioni amministrative da diecimila euro per allevamenti non registrati.
L’ultimo caso, il 13 ottobre, quando guardie zoofile e carabinieri hanno controllato cinque stalle in via Belfiore, nel quartiere San Cristoforo, e identificato 15 cavalli forse coinvolti nelle corse clandestine. Sei persone sono state denunciate per maltrattamenti e detenzione di farmaci. «Medicinali sia veterinari che umani, spesso somministrati senza ricetta e d’importazione – spiega Palmeri – Sconosciuti o vietati in Italia, vengono importati clandestinamente da Paesi come la Romania. In modo autonomo o procurati da rivenditori catanesi compiacenti». A volte sostanze dopanti, più spesso antibiotici e cortisonici: «Antidolorifici e antinfiammatori che servono a mascherare le patologie causate dalle corse». Farmaci il cui utilizzo è comunque vietato o strettamente da controllare nel caso di animali destinati alla macellazione. Perché non fanno bene nemmeno agli esseri umani.
Prima di macellare un capo, i controlli sono affidati a un veterinario, obbligato a visitare l’animale e a controllare la sua documentazione. Per il resto, ci si affida a un’autocertificazione del proprietario e a sondaggi a campione. Ma sfuggire alla legge, a Catania, non è difficile, soprattutto da quando i luoghi di macellazione sono tutti privati. «A Paternò e ad Acireale – racconta Palmeri – L’ex macello comunale di Pantano d’Arci era uno dei più grandi d’Europa, ma ormai è chiuso». Basta dichiarare la macellazione di un capo e non di un altro, corrompere il veterinario – figure in certi casi coinvolte in indagini della magistratura – o macellare durante la notte con il benestare del proprietario della struttura. «Sfuggendo anche i controlli fiscali». Tutti metodi ancora più facili – e più comuni – che creare dei macelli clandestini. Comunque presenti anche a Catania. «In passato ne sono stati sequestrati alcuni. Ce n’era uno ad esempio quello in via delle Finanze – aggiunge il dottore – Ma non di recente».
Per Palmeri infatti il problema principale resta comunque la burocrazia. Che ostacola controlli puntuali. Con la sua normativa assente prima – almeno fino al 2000 – e contorta dopo. Solo di recente, infatti, la legge ha introdotto l’anagrafe equina e l’obbligo, per chi li possiede, di passaporto, microchip e codice internazionale. «Ma un cavallo vive anche più di dieci anni – spiega il dottore – e si muove moltissimo. Cambia spesso maneggio e proprietario e questi passaggi non vengono tracciati». Le procedure non uniformi tra Province e Regioni e l’assenza di una moderna banca dati condivisa non aiuta. «Per aprire un allevamento, ad esempio, bisogna fare richiesta alla sezione gestione del territorio del Comune di Catania – aggiunge – L’amministrazione lo comunica all’Asp che però viene informata solo sui singoli capi e non ha una mappa fisica». Tra uffici, competenze e dati frammentari, il risultato è l’illegalità del trattamento riservato agli animali, così come ai cittadini.
4 novembre 2012