Non piove e il governo latita. La cabina di regia istituita dall’esecutivo il 6 aprile si è limitata a nominare il presidente: Matteo Salvini. Il commissario straordinario per la siccità ancora non c’è, vittima del braccio di ferro tra le forze di maggioranza. E l’Autorità di bacino del Po si è vista decurtare con l’ultima finanziaria 4 milioni: dai 6,5 degli anni passati ai 2,5 attuali: un colpo d’ascia del 40%.
Mentre il piano laghetti, i bacini di ricarica delle falde o gli interventi sugli acquedotti colabrodo sono progetti non ancora pervenuti, le stazioni del Po registrano tutte «siccità estrema». La portata del grande fiume è pari a quella del 2022 nel mese di giugno e il cuneo salino è già risalito di 15 chilometri dalla foce. Se l’anno scorso il lago di Garda era a livelli accettabili, oggi è vicino al record negativo del 1953, con un riempimento di appena il 37% rispetto al massimo idrometrico. L’estate passata è stata dura, con 6 miliardi di danni all’agricoltura, ma il 2023 si preannuncia peggiore. E non possiamo dire che non ce l’aspettavamo.
«Il dibattito in aula è stato feroce, ma non c’è stato niente da fare: la finanziaria a dicembre è stata approvata con il taglio ai finanziamenti dell’Autorità del Po», ricorda Angelo Bonelli, deputato di Alleanza Verdi e Sinistra. L’ente che ha competenza su Liguria, Piemonte, Valle d’Aosta, Emilia Romagna, Toscana, Lombardia, provincia di Trento, Veneto e Marche ricade nella zona più colpita dal deficit idrico. Il bacino del Po copre 86 mila chilometri quadrati (un quarto dell’Italia). Al suo interno vivono 17 milioni di persone e si produce un terzo del Pil agricolo.
La finanziaria del 2017 aveva assegnato all’Autorità del grande fiume 6,5 milioni all’anno per il “monitoraggio ambientale per la previsione e la gestione delle piene e delle magre”. L’articolo 698 della legge di bilancio del 29 dicembre 2022 ha invece portato la cifra a 2,5 milioni. Sono soldi appena sufficienti per le spese di gestione, che bloccano le 6 sedi regionali che l’ente pensava di aprire.
Anche quando i fondi ci sono, prosegue Bonelli, la situazione resta critica. «La Corte dei Conti la settimana scorsa ha mosso al governo dei rilievi gravi. Ci sono enormi difficoltà nello spendere i 900 milioni del Pnrr e i 2,17 miliardi di fondi ordinari previsti da qui al 2033 per l’emergenza idrica. Si pensa di risolvere ogni problema con la nomina di un commissario, ma si sta ancora litigando per la scelta del nome».
Il “Commissario straordinario nazionale per la scarsità idrica” era stato previsto dal decreto Siccità varato dal governo il 6 aprile. “Sarà nominato entro 10 giorni”, citava il testo. Trenta giorni dall’entrata in vigore (il 15 aprile) è invece il tempo che il governo si era dato per effettuare il monitoraggio degli interventi urgenti tramite la cabina di regia. Il termine non è scaduto, ma segnali di vita non ci sono. «Più che decreto siccità, lo chiamerei decreto speriamo che piova», ironizza amaro Bonelli.
Ad agire, per il momento, sono le regioni del Nord, le più colpite da una cris i provocata soprattutto da un inverno secco (meno 64% la neve caduta sulle Alpi secondo la Fondazione Cima), alla quale le precipitazioni della primavera non riescono a rimediare. La Lombardia ha rinviato di un mese l’inizio della stagione irrigua. Alcune decine di Comuni del Piemonte sono pronti a limitare l’acqua al solo uso potabile, vietando di innaffiare giardini e riempire piscine. Gli ultimi dati del Cnr e del sistema di monitoraggio satellitare europeo Copernicus mostrano segnali di deficit anche in Puglia, Sicilia e Sardegna.
Matteo Salvini, nominato presidente della cabina di regia il 22 aprile, giornata della Terra, quel giorno ha annunciato progetti di desalinizzazione e uso in agricoltura delle acque depurate. Poiché di fondi pubblici ne sono stati stanziati pochi, come dimostra il caso dell’Autorità del Po, il leader della Lega ha messo le mani avanti: «Senza il contributo dei privati non ce la facciamo». Per il resto, ha aggiunto, «non ci resta che pregare perché il buon Dio faccia piovere». E per questo anche 2,5 milioni all’anno bastano e avanzano.
Repubblica