Approvati ieri nelle Commissioni riunite Finanze e Affari sociali gli emendamenti al decreto Bollette. Per i gettonisti si prevede sia la prosecuzione dei contratti in essere che la possibilità di far ricorso a queste esternalizzazioni, seppur per una sola volta, in tutte le specialistiche che lo riterranno necessario e non più solo per l’emergenza-urgenza. Ma per il Ministero “non è un allentamento” della stretta. GLI EMENDAMENTI
«Non c’è alcun allentamento della stretta sui gettonisti». Il ministro Schillaci interviene a fine giornata per ribadire che la volontà di mettere un freno all’uso negli ospedali resta intatta e gli emendamenti approvati nel decreto bollette non modificano il senso del provvedimento. Questo governo, ribadisce, «ha disciplinato in modo rigoroso il ricorso ai medici a gettone ponendo condizioni chiare per evitare l’abuso delle esternalizzazioni». La modifica approvata dalle Commissioni riunite Finanze e Affari Sociali «serve esclusivamente ad estendere la possibilità di deroga» per massimo 12 mesi, dell’attuale situazione anche agli altri reparti e non più soltanto ai Pronto Soccorso. «Con questa modifica si dà una risposta alle istanze arrivate dalle Regioni relative a esternalizzazioni necessarie per fronteggiare le emergenze in tutti i reparti ospedalieri. Il ricorso ai gettonisti sarà quindi consentito – conclude il ministero – ormai per un periodo non superiore a 12 mesi, solo in caso di necessità e urgenza, verificata l’indisponibilità di personale interno e accertato il possesso dei requisiti professionali previsti per legge. Tale deroga di 12 mesi non avrà possibilità di proroga». Che ci sia un urgente bisogno dei gettonisti lo confermano che i medici che sempre ieri sono tornati a rilanciare l’allarme: «Se chiudiamo i contratti con le coop che li offrono in affitto senza assumere qui salta tutto». Del resto «quello dei gettonisti è solo il sintomo di una disaffezione al sistema pubblico testimoniata da una fuga verso il privato che sembra non avere freni», dice Pierino Di Silverio, segretario nazionale del sindacato dei camici bianchi ospedalieri dell’Anaao. Che a riprova sciorina numeri inediti. «Nel 2021 in uscita verso l’estero o il privato erano in 2.700 nel 2022 sono per l’esattezza 3.009. I reparti non reggono né con, nè senza gettonisti, perché qui il problema non è solo la carenza di personale ma anche il fatto che lavoriamo troppo e male, senza gratificazioni, né economiche e nemmeno di carriera» si sfoga Di Silverio.
Il ministro della Salute aveva così deciso di frenare il ricorso indiscriminato ai gettonisti fissando nel decreto bollette alcuni paletti: stabilendo prima di tutto che abbiano una specializzazione in emergenza e urgenza visto che solo li dovrebbero lavorare, che non abbiano superato i 70 anni, con il limite di poterli utilizzare solo una volta e per non oltre un anno, sempre che non ci siano idonei in graduatoria da assumere. Proprio ieri le commissioni affari sociali e finanze della Camera hanno però approvato una serie di emendamenti di maggioranza che vanno ad allentare la stretta, salvando i contratti in atto e le procedure di affidamento in corso, anche se i contratti non potranno comunque durare più di un anno. Come dire che se da qui a 12 mesi non ci sarà un’iniezione di linfa nuova nei reparti ospedalieri oltre che nei pronto soccorso, il rischio paralisi è pressoché assicurato. Fermo restando che già oggi con le nuove regole volute da Schillaci circa la metà dei medici in affitto, più o meno 7mila, resterebbero fuori dai cancelli degli ospedali.
«È sconfortante, ogni sera mi ritrovo in reparto un medico diverso. Ma lo sa che poche sere fa, in uno dei più affollati pronto soccorso di Milano, a gestire i pazienti era un medico dei trasporti? Quelli che certificano il rinnovo delle patenti per capirci. Solo che finito il doppio turno è andato a incassare il suo bel gettone da 1.200 euro», racconta Giorgio, primario in un ospedale lombardo che preferisce rimanere anonimo.
Poi c’è il problema dei turni di lavoro formato extra large, coperti per alzare in pochi giorni quello che un dipendente porta a casa in oltre un mese. «Guadagno 100 euro l’ora e i nostri turni non li regola nessuno. Io mantengo una mia etica e più di tanto non ne faccio, ma c’è chi accorpa 4-5 notti di fila, che oltre ad essere pericoloso non garantisce nemmeno la qualità delle cure», ammette Stefania, che nel pronto soccorso di un ospedale pubblico c’ha lavorato per 12 anni prima di darsi alla fuga. Come ha fatto Roberto Malesani, neurologo che a dicembre del 2018 si è licenziato dall’ospedale di Castelfranco e che ora si divide da gettonista tra gli ambulatori dello stesso ospedale più quelli di Montebelluna e Feltre. «Lavorando in quest’ultimo ambulatorio dal lunedì al sabato per cinque ore al giorno, contro le 12 in corsia posso arrivare a 7mila euro netti al mese invece dei 3mila che guadagnavo prima» confida.
In realtà un modo per tornare ad avere medici in pianta stabile nei reparti ci sarebbe, ed è quello di fare ricorso, come la legge in teoria permette di fare, ai 25mila specializzandi del terzo anno. Solo che le Università vogliono tenerseli stretti e tendono a non dare il nulla osta al loro utilizzo fuori dai policlinici, tanto che oggi solo l’8% dei giovani dottori in formazione specialistica lavora negli ospedali non universitari. Ora un altro emendamento, sostenuto anche da Schillaci, impone alle Università di stipulare entro 90 giorni gli accordi quadro per l’assunzione dei medici in formazione specifica. Se la lobby dei baroni universitari non armerà di spugna qualche parlamentare potrebbe essere la svolta reclamata dai sindacati medici. —
La Stampa