Nessun obbligo di Green Pass in azienda e negli uffici (privati), per ora. E forse mai. Confindustria preme, i sindacati temono che sia una scusa «per discriminare e licenziare». E lo dicono chiaro al premier Draghi che convoca a Palazzo Chigi i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil per sondare una loro disponibilità a rivedere i protocolli sulla sicurezza con le imprese. «Non siamo ostili, ma sia il governo a introdurre l’obbligo per legge», dicono all’unisono. «Non è compito del sindacato di imporre il Green Pass ai lavoratori e tantomeno farlo tramite un accordo che non abbia valenza legislativa. Se credete, potete fare una norma come per i medici e i sanitari. Poi noi agiremo di conseguenza».
La palla dunque torna nel recinto del governo. Dove però l’idea di intervenire come in aprile col decreto 44 che introduceva l’obbligo vaccinale per le professioni sanitarie viene trattata con la massima cautela. Perché c’è già il no della Lega. E perché qui si tratta non di obbligo vaccinale, ma di eventuale obbligo al Green Pass per lavorare e quindi: vaccino, tampone o dimostrare di essere guariti dal Covid. Il premier non vuole forzare né cerca scontri. La priorità è la scuola e in subordine il pubblico impiego: qui sì che le chance di un Pass obbligatorio sono più alte. Tutto il resto può attendere.
«Non c’è questa urgenza, la campagna vaccinale generale procede spedita, sono molto ottimista», avrebbe detto il premier Draghi in conclusione di incontro, aggiornato a fine agosto o ai primi di settembre. Non prima però di aver fatto un ultimo tentativo per capire se esiste un modo per le imprese di sapere quanti lavoratori sono vaccinati. «Assolutamente no, sarebbe discriminatorio e una violazione della privacy», gli hanno risposto Maurizio Landini (Cgil), Luigi Sbarra (Cisl) e Pierpaolo Bombardieri (Uil). La domanda ha un senso e muove dal flop della vaccinazione in azienda. Confindustria aveva trionfalmente annunciato 7 mila hub pronti a immunizzare i dipendenti. Ma Luigi Sbarra ad esempio ne conta «non più di 700, un migliaio». Questo non significa che i lavoratori non si siano vaccinati: chi voleva si è prenotato in autonomia sfruttando i canali regionali. Significa solo che gli imprenditori non sanno – e non possono sapere – quanti dipendenti sono protetti e quanti no.
L’idea però di risolvere la questione aggiornando il Protocollo sulla sicurezza siglato in lockdown nel 2020 viene respinta con la massima forza dai sindacati: «L’ipotesi non esiste, si proceda per legge». Landini (Cgil) anzi aggiunge che «il Green Pass non può servire per licenziare, demansionare o discriminare». Sbarra (Cisl) si dice piuttosto disposto «a sostenere la campagna vaccinale tra i lavoratori e rafforzare il Protocollo sulla sicurezza che ha impedito i focolai in azienda». Bombardieri (Uil) ricorda che lo stesso Protocollo è stato «recepito da un decreto ed è dunque diventato legge, per cui ora si può solo intervenire per legge ». Poi aggiunge che di per sé il Green Pass non basta, perché neanche il vaccino mette al riparo al 100% da reinfezioni con la variante Delta. E dunque «in ogni caso le misure del Protocollo rimangono tutte, a partire da mascherine e distanziamento». Quindi anche smart working, laddove possibile. «Evitiamo forzature», insiste Bombardieri. «Anche perché l’unico Paese al mondo con l’obbligo vaccinale è l’Arabia Saudita, non proprio un modello per il Nuovo Rinascimento ita liano».
Ecco dunque che la strada del Green Pass per lavorare, almeno nel privato, si complica. D’altro canto senza una norma, si rischia di finire dritti davanti a un giudice. Com’è capitato a un’operatrice socio-sanitaria, dipendente di una cooperativa sociale di Terni che fa assistenza agli anziani, sospesa dal lavoro e dallo stipendio per 24 mesi per il rifiuto a vaccinarsi (nel suo caso obbligatorio per legge). Prima la Asl, poi il giudice del lavoro hanno respinto il suo ricorso. Il giudice ha detto anzi che la sospensione è «legittima, adeguata e proporzionata» perché il lavoratore ha «l’obbligo di prendersi cura della salute e sicurezza propria e delle altre persone presenti sul luogo di lavoro». Ma può valere solo fino al 31 dicembre.