Il governo canta vittoria, la Ue raffredda gli entusiasmi, e forse hanno ragione entrambi. La decisione della Commissione Ue di studiare le modifiche al metodo di calcolo del deficit strutturale, il parametro di riferimento dei conti pubblici, sollecitate da Italia e altri otto Paesi Ue, porrà fine a «una fortissima distorsione che penalizza l’Italia» ha detto ieri in Parlamento il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan.
Proprio in quelle stesse ore, però, a Bruxelles è uscito un documento ufficiale della Commissione in cui c’è scritto l’esatto contrario. Anche accettando le modifiche proposte, per l’Italia cambierà pochissimo, quasi niente. Per l’esattezza l’effetto sul deficit strutturale sarebbe di 0,05 punti di Pil, circa 800 milioni di euro. Un’inezia, anche se a guardar bene quello 0,05% è esattamente la materia del contendere tra il governo e la Commissione sul deficit di bilancio del 2017.
Le modifiche avviate allo studio, d’altra parte, sono marginali. L’Italia e gli altri otto Paesi hanno riserve molto più forti sulla bontà del metodo di calcolo usato dalla Ue, ma per ora si sono limitati a chiedere almeno di allineare l’orizzonte temporale delle previsioni sul prodotto «potenziale» adottato dai governi, quattro anni, con quello usato dalla Commissione, che è di due anni. L’esecutivo ha dato mandato a un apposito gruppo di lavoro per approfondire la questione, ma intanto si è esercitato, facendo i suoi calcoli secondo i quali, appunto, «la valutazione della posizione italiana non subirebbe cambiamenti significativi adottando un orizzonte temporale differente» si legge nello studio diffuso ieri.
In ogni caso il rigore canonico comunitario sugli strumenti usati per monitorare la finanza pubblica dei Paesi membri finalmente si è rotto, ed è un gran passo in avanti. Il deficit strutturale e le politiche di bilancio richieste ai Paesi per portarlo verso il pareggio sono determinate da calcoli basati sul cosiddetto «output gap», cioè la differenza tra la crescita reale di un Paese e il suo potenziale. Quando è negativo può giustificare un rallentamento dei tempi per arrivare agli obiettivi, ma è una grandezza che non esiste, cui si arriva con previsioni che a posteriori si rilevano spesso sbagliate. Con il risultato che al di là di ogni evidenza un Paese può essere costretto a varare misure di bilancio pro-cicliche amplificando, e non contrastando, gli effetti della congiuntura.
Sono «numeretti» sui quali si gioca la fortuna di un governo. E quello italiano, abituato a lottare per mezzo decimale di deficit, è in prima linea tra i critici. Usando un metodo diverso da quello attuale, che ad esempio considera strutturale in Italia una disoccupazione del 9%, inverosimile, il bilancio sarebbe già in pareggio strutturale. Tra un paio d’anni, però, secondo tutte le nostre previsioni, il nostro output gap si chiuderà e non avremmo più benefici dalla eventuale revisione dei calcoli.
Mario Sensini – Il Corriere della sera – 27 maggio 2016