Emanuele Bonini. Il Ceta si fa, e con questo «si scrive un nuovo capitolo nelle relazioni bilaterali». Il trattato di libero scambio tra Unione europea e Canada diventa realtà, e i rappresentanti delle due parti ne salutano l’avvenuta sottoscrizione. Un risultato che apre il mercato dello Stato nordamericano all’Europa e che arriva non senza tensioni.
La Vallonia ha opposto resistenze per i timori su un accordo visto come potenzialmente dannoso per consumatori e imprese. Si è dovuto cancellare il summit Ue-Canada in programma giovedì scorso e riconvocarlo ieri, ma alla fine a prevalere è stata la maggioranza dei paesi favorevoli a mettere nuova benzina negli scambi commerciali.
Per l’Unione europea il Ceta vuol dire abolizione del 99% delle barriere commerciali, per un aumento nei volumi di affari fino a 12 miliardi di euro l’anno e l’abbattimento dei costi alle esportazioni fino a 500 milioni l’anno. Ben 143 cibi a indicazione d’origine saranno tutelati, ponendo fine alle contraffazioni canadesi, e gli alimenti del partner commerciale dovranno rispettare le norme Ue su ogm e ormoni della crescita per essere venduti. Ancora, le imprese europee parteciperanno senza ostacoli alle gare d’appalto canadesi, e lavoratori Ue potranno essere trasferiti in nord America.
Per l’Ue, che ha negoziato con Ottawa dal 2009 al 2014, è «un buon giorno per l’Europa». Non mancano le critiche. Il Ceta spalanca le porte anche al «made in Canada», e questo è motivo di timori legati a concorrenza e qualità. Se si guarda al grano, oggi i produttori italiani ne usano il 40% di provenienza straniera per la pasta, cifre che in alcuni casi toccano il 50%. Si tratta di materie prime che arrivano da Australia, Usa e Canada. Ma bisogna essere attenti. Il Ceta farà entrare sul mercato più grano canadese a prezzi minori, un vantaggio per chi produce, una maledizione per chi teme gli effetti negativi per il comparto. L’Italia produce più del fabbisogno nazionale e potrà compensare aumentando l’export, che non necessariamente gioverebbe gli stessi colpiti per la troppa materia prima. Sulle tavole tricolore, poi, finirà pastasciutta di minor qualità? Dipende da chi ci si rifornisce e come lo si fa, e a stabilirlo sono le imprese. Alcuni grandi nomi come De Cecco, scelgono la materia canadese in base alle caratteristiche merceologiche, chimiche, e organolettiche. Se il grano estero non va, non si compra. Ma non tutti adottano lo stesso principio.
Ecco una delle insidie che possono nascondersi dietro il trattato firmato ieri, considerato tanto importante quanto controverso. Proprio per questo il Parlamento della Vallonia, una delle regioni del Belgio, ha chiesto e ottenuto garanzie minacciando di far saltare il tavolo negando al parlamento federale il via libera alla ratifica. Ora ne restano Ventotto, quanti gli Stati dell’Ue i cui parlamenti dovranno approvare il Ceta, in vigore provvisoriamente finché non arriveranno tutti i via libera. L’Ue esulta, il primo ministro canadese Justin Trudeau resta cauto. La firma di ieri «è solo l’inizio del lavoro».
La Stampa – 31 ottobre 2016