Il danno esistenziale può essere invocato quando siano dimostrabili “i concreti” cambiamenti che l’illecito ha apportato, in senso peggiorativo, nella qualità di vita del danneggiato
Il caso
In un piccolo paese in provincia di Trento il responsabile di filiale di una Cooperativa era stato trasferito ad un altro punto vendita come semplice commesso, subendo pertanto un demansionamento. L’uomo chiedeva che fosse dichiarata l’illegittimità del trasferimento, che la Cooperativa fosse condannata al pagamento dell’indennità di trasferta, e che fosse disposta la reintegrazione nelle mansioni in precedenza svolte. Chiedeva inoltre il risarcimento del danno patrimoniale (inteso come danno alla professionalità), non patrimoniale inteso come danno biologico, morale ed esistenziale subiti.
Secondo il Tribunale, merita di essere accolta la domanda di risarcimento del danno alla reputazione sociale in quanto la revoca dell’incarico di responsabile di filiale, tanto più accompagnata di lì a pochi giorni dal trasferimento ad altra filiale, non può non aver ingenerato il dubbio tra i membri della piccola comunità che il lavoratore si fosse reso responsabile di manchevolezze tali da giustificare la modificazione di situazione organizzativa consolidatasi da oltre un decennio. Si tratta di un pregiudizio di ordine esistenziale che, non essendo allegato quale derivante da lesioni all’integrità psico-fisica o determinanti degenerazioni patologiche di tipo psico-fisico, è suscettibile di autonomo risarcimento. Pertanto, una volta accertata l’esistenza del danno, ai fini della sua quantificazione al giudice è consentito esercitare il potere discrezionale di liquidazione equitativa.
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