Arriva il Jobs Act e per i nuovi assunti l’articolo 18 va in soffitta. Venerdì il Consiglio dei ministri ha varato in via definitiva le prime misure attuative della riforma del lavoro, introducendo il contratto a tutele crescenti e il nuovo ammortizzatore sociale (Naspi). In forma preliminare è arrivato anche il via libera al riordino delle formule contrattuali (aboliti i Cocopro), me le nuove norme sono attese ora al vaglio delle Commissioni lavoro per un parere non vincolante.
Per Matteo Renzi la giornata è stata «storica, attesa da una intera generazione». La Confindustria plaude, ma con la Cgil e la minoranza del Pd le polemiche divampano.
Ignorando il parere non vincolante delle Camere che chiedevano di non abolire l’articolo 18 per i contratti collettivi, il governo ha infatti mantenuto intatto l’architrave della riforma del lavoro: non ci sarà reintegro, ma solo indennizzo, anche per i licenziamenti illegittimi di 5 o più persone. In base alla legge, infatti, i licenziamenti collettivi devono seguire particolari criteri, condivisi con il sindacato. Se così non avverrà, per i nuovi assunti, il risarcimento sarà solo economico.
Di fatto licenziare sarà più facile, ma nella conferenza stampa che ha seguito le quattro ore di Consiglio, il premier Renzi ha preferito parlare di «assunzioni collettive» convinto che, con le nuove norme, «gli imprenditori non avranno più alibi». Molto critico sulle decisioni prese è rimasto invece Cesare Damiano, minoranza Pd e presidente della Commissione Lavoro della Camera che considera questa «una scelta sbagliata, irrispettosa del Parlamento».
E’ definitivo, quindi, il via libera del contratto a tutele crescenti (che sarà applicabile dal primo di marzo), quello che — secondo il premier — farà sì che parole come «ferie, mutuo, buonuscita, entrino nel vocabolario di una generazione fino ad ora esclusa». Dal 2016, invece, come ha precisato il ministro Poletti, saranno vietati anche i contratti a progetto, con l’obiettivo di favorire assunzioni a tempo indeterminato. Ma se l’impianto della riforma convince la Confindustria («la direzione è quella giusta e il contratto a tutele crescenti è stato migliorato»), per Susanna Camusso leader della Cgil «il Jobs Act è il mantenimento delle differenze, non la lotta alla precarietà» perché «l’azienda può licenziare liberamente pagando un misero indennizzo».
Sulla stessa linea Carmelo Barbagallo della Uil: «La montagna ha partorito il topolino — ha detto — Il governo aveva promesso che avrebbe tolto tutti i contratti di precarietà, è stato bugiardo». Il decreto varato in via preventiva abolisce infatti solo Cocopro, job sharing e contratti di associazione. La durata del contratto a tempo determinato senza causale è rimasta di 36 mesi (era stata richiesta una riduzione a 24) ed è stata estesa la possibilità di ricorrere ai voucher (l’importo è stato elevato a 7 mila euro). Più morbido il commento della leader Cisl, Annamaria Furlan: «E’ un primo intervento solo parziale, avremmo voluto più coraggio, con queste norme cambia poco e niente».
Oltre alle restrizioni al reintegro sul posto di lavoro in caso di allontanamento illegittimo (previsto solo in caso di licenziamento nullo o discriminatorio) introdotte dai decreti attuativi del Jobs Act approvati in via definitiva (come la nuova normativa sugli ammortizzatori sociali), il Consiglio dei mnìinistri ha ieri varato in via preliminare nuove norme che facilitano il demansionamento (sarà possibile in caso di ristrutturazione aziendale purchè non modifichi il trattamento economico del lavoratore) e il lavoro part-time (possono essere pattuite clausole elastiche su spostamenti negli orari di lavoro).
Cambierà anche la tutela della maternità e paternità, secondo una proposta del ministero del Lavoro, per prendere il congedo parentale facoltativo (sei mesi in complesso) si avrà tempo fino ai 12 anni di vita del bambino (adesso l’età massima è 8). Sale da tre a sei anni anche l’età entro la quale il congedo facoltativo che si prende è retribuito parzialmente (al 30 per cento).
LE NUOVE REGOLE E LA SFIDA SULLA QUALITÀ
Restano i licenziamenti Indennizzo fino a 24 mesi
Dal primo marzo diventa operativo il contratto a tutele crescenti. Come funzionerà? Il reintegro nel posto di lavoro da parte del giudice resterà possibile solo in caso di licenziamento discriminatorio, cioè quando il lavoratore viene allontanato per motivi religiosi o politici. E per una categoria molto limitata di licenziamenti disciplinari, quelli che dipendono dal comportamento del lavoratore: e cioè quando in tribunale si dimostra che il fatto materiale contestato al lavoratore è stato «inventato» dall’azienda. Niente più reintegro, invece, per i licenziamenti disciplinari «normali» e soprattutto per quelli economici, cioè legati al cattivo andamento dell’impresa. In questi casi , ci potrà essere solo un indennizzo in denaro che salirà in parallelo con l’anzianità di servizio. Sarà crescente, appunto, ma in ogni caso non potrà superare le 24 mensilità. Il contratto a tutele crescenti si potrà usare solo per le nuove assunzioni: non solo i giovani al primo impiego ma anche chi cambierà lavoro dal primo marzo in poi. Nulla cambia, almeno per il momento, per chi ha già un contratto a tempo indeterminato.
A maggio arriva la Naspi Resta la cassa a zero ore
Partirà dal primo maggio la Naspi, la nuova assicurazione sociale per l’impiego, un sussidio per tutti i disoccupati involontari, cioè quelli che perdono i lavoro perché licenziati o per chiusura dell’azienda. La durata massima della Naspi è di 24 mesi, che però scendono a 18 dal 2017. L’ammontare massimo dell’indennità è di 1.300 euro ma, dopo i primi 4 mesi, la Naspi viene ridotta del 3% al mese. Il pagamento del sussidio è condizionato alla partecipazione a programmi di politiche attive, cioè corsi di formazione e riqualificazione che possono portare anche ad un’offerta di lavoro. Viene introdotto in via sperimentale, solo per quest’anno, anche l’Asdi, l’assegno di disoccupazione di 6 mesi che verrà riconosciuto a chi, scaduta la Naspi, non ha trovato impiego. Verrà erogato fino ad esaurimento dei 300 milioni del fondo. Il Dis-Col si applica invece ai collaboratori che perdono il lavoro, per un massimo di 6 mesi. Rinvio per il decreto che avrebbe dovuto introdurre il principio del bonus malus per la cassa integrazione (contributi maggiorati per le aziende che la usano di più) e la cancellazione di quella a zero ore.
Spariscono i co.co.pro. C’è il cambio di mansione
Non sarà più possibile stipulare un co.co.pro, un contratto di collaborazione a progetto. Il blocco non scatta dal primo marzo, bisognerà aspettare un paio di mesi perché il decreto che regola la materia era al primo passaggio in Consiglio dei ministri e adesso va in Parlamento per il parere delle commissioni. Cosa succederà, invece, ai co.co.pro in essere? Niente fino alla fine dell’anno. Dal primo gennaio del 2016 sarà possibile convertire in contratto a tutele crescenti le collaborazioni «finte», secondo una serie di criteri indicati dal decreto come il contenuto ripetitivo e l’organizzazione dei tempi e dei luoghi di lavoro. Per far questo, però, sarà necessario rivolgersi a un giudice che accerti l’esistenza dei parametri. Resteranno fuori alcuni settori, come le società sportive o i call center, dove c’è uno specifico accordo di settore. In caso di riorganizzazione aziendale le mansioni dei lavoratore possono essere modificate: si può scendere al massimo di un livello a parità di stipendio, ma perdendo le indennità legate alla mansione precedente.
Congedo anche ai precari Coperture solo per il 2015
La tutela della maternità viene garantita anche ai precari il cui datore di lavoro non versa i contributi. Si allunga il periodo durante il quale sarà possibile usufruire del congedo parentale, il periodo che i genitori possono chiedere per stare a casa con i figli. Il congedo con stipendio al 30% sarà possibile fino a quando il bambino compirà 6 anni, contro i 3 di adesso. Il congedo a stipendio zero, invece, sarà utilizzabile fino a quando il bambino compirà 12 anni, contro gli 8 di adesso. Non cambia la durata massima del congedo, sempre 6 mesi. Qualche modifica anche per la maternità obbligatoria. In caso di parto anticipato rispetto alla data comunicata preventivamente all’Inps, i giorni non goduti potranno essere recuperati dopo la nascita del bambino. Nei cinque mesi di astensione non si conteranno nemmeno i giorni in cui il neonato è stato ricoverato in ospedale. Tutte queste norme si applicano, in via sperimentale, solo per il 2015. Per estendere la durata servono altri soldi. (Lorenzo Salvia)
Decreto legislativo contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti
Decreto legislativo su conciliazione dei tempi di vita e di lavoro
Decreto legislativo su tipologie contrattuali
Il Sole 24 Ore e Il Corriere della Sera – 21 febbraio 2015