È una ricerca per molti versi convincente quella condotta dagli scienziati giapponesi dell’Azabu University guidati da Miho Nagasawa, appena pubblicata su Science , che apre scenari affascinanti sull’evoluzione del rapporto fra l’uomo e il cane. I risultati sono stati ottenuti con esperimenti che hanno coinvolto cani di diverse razze, di entrambi i sessi e i loro padroni, estesi poi anche a lupi ammansiti.
L’addomesticamento del cane da parte dell’uomo è passato anche attraverso gli occhi. I ricercatori infatti sostengono che un ruolo importante e di rinforzo in quel legame l’hanno avuto gli sguardi reciproci carichi d’affetto, naturalmente. E con loro, il conseguente innalzamento — nell’uomo e nel cane — dei livelli di ossitocina circolante, ormone che regala benessere, appagamento, gioia. Lo stesso meccanismo biologico che si innesca nel legame tra madre e neonato.
In altre parole uomo e cane condividono lo sguardo come mezzo di comunicazione. Una coevoluzione che progressivamente è andata affinando quello scrutarsi reciproco di cane e padrone, fino a premiare entrambi, all’atto della raggiunta comprensione, con una soddisfazione non solo palesata dal comportamento esterno ma sostenuta anche dai livelli ormonali.
Comunicare con lo sguardo è di fatto usare il linguaggio degli occhi, fondamentale nelle specie sociali come è il cane — che discende dal lupo – e nell’uomo. Serve per il controllo fra membri del gruppo, per i rapporti fra madre e figlio, per l’intimo rito della coppia. Occhi che si illuminano, si stringono, si chiudono; mobilità oculare, ampiezza della pupilla. Tutto è stato selezionato per rendere diverso ed efficace ogni sguardo. E questo ovviamente funziona fra gli individui di una stessa specie.
Nel caso del cane e dell’uomo stiamo invece parlando di due specie diverse, ma la ricerca giapponese dimostra che è possibile scavalcare la barriera tra specie. Gli scienziati sostengono che il cane non solo è penetrato nella socialità umana ma ne ha intercettato gli strumenti di comunicazione. Lo stesso ha fatto l’uomo e così, guardandosi l’un l’altro sembrano capirsi pienamente e la spia della loro soddisfazione è nell’aumento dei reciproci livelli di ossitocina.
Del resto, basta farci caso andando per strada, un cane non fa altro che guardare in faccia il proprio padrone. Ogni ammiccamento, ogni battito di ciglia è, per lui, un segnale da cogliere, rivelatore di intenzioni e umori. Sa che gli occhi chiusi significano non essere visti e, a volte, ne approfitta. Noi, al contrario, siamo spesso sbrigativi e superficiali e in più, se vogliamo, sappiamo dissimulare e controllare sguardi ed espressioni. Loro no. I loro occhi, diversamente da noi, non mentono. Il loro sguardo è sempre onesto, del tutto trasparente al loro sentire.
Un altro aspetto interessante della ricerca giapponese è la sperimentazione analoga condotta su lupi domestici e loro padroni. I risultati sono stati deludenti e poco significativi. E non sorprende, perché è l’addomesticamento, con la sua lunga storia, ad aver originato quel percorso evolutivo del cane e dell’uomo che rimane un caso straordinario. Con l’addomesticamento del cane l’uomo ha fatto un capolavoro di costruzione biologica: ha creato un compagno di vita, di lavoro, un amico con cui comunicare, lo hanno dimostrato, alla pari. È un vero patrimonio dell’Umanità e in questo senso l’Unesco potrebbe fregiarlo del titolo.
Il Corriere della Sera – 19 aprile 2015