Anche l’Italia si unisce ai tanti paesi che in questi mesi stanno dicendo no allo sfruttamento dell’avorio. Pochi giorni fa, al Circo Massimo – luogo scelto simbolicamente dal momento che in epoca romana vi si ammazzavano proprio gli elefanti – si è tenuto il primo Crush Ivory italiano, dove si è alzata la voce forte e chiara del ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti e di quanti si stanno battendo per la distruzione dell’avorio, per dire basta allo sfruttamento di un materiale il cui commercio è illegale, così come naturalmente la mattanza degli animali che lo garantiscono, gli elefanti.
Oltre due secoli fa erano quasi 30 milioni, oggi non si arriva ai 400 mila esemplari. Brutalizzati, sterminati per sfruttare un materiale che fa gola ai commercianti, come gli spregiudicati cinesi che di fatto, per averlo, ricoprono di soldi chi può garantirglielo, ovvero alcune delle organizzazioni criminali più feroci dei paesi africani come quelle esistenti in Congo, nel Ciad, in Uganda, in Sudan. La coscienza mondiale però è stanca di questa piaga internazionale. Da anni. Chi pensa infatti che il Crush Ivory dello scorso 31 marzo sia una novità, si sbaglia di grosso. Così come non pensiamo che come sempre siano gli Stati Uniti a tirare le fila ad iniziative come queste, visto l’evento newyorkese di Times Square del luglio scorso, al quale ha fatto seguito quello francese di Parigi.
Il Crush Ivory infatti ha compiuto la maggiore età da quel dì, visto che è dal 1989 che si verificano manifestazioni del genere. Ad aprire le danze fu il Kenya, e a oggi circa 150 tonnellate di avorio sono state distrutte. Due anni fa la più massiccia, a Hong Kong, con 28 tonnellate sminuzzate da un trituratore. Ciò che fortunatamente salta all’occhio, è che finalmente il fenomeno del Crush Ivory sta lentamente globalizzandosi, unica strada per sconfiggere i bracconieri. Se infatti da Kenya 1989 – ne parliamo come se fossero i Giochi Olimpici del Crush Ivory, essendo Rio alle porte – a Stati Uniti 2013 il fenomeno era rimasto circoscritto ai paesi dove la razzia del prezioso materiale di natura animale era più attiva che altrove (Kenya 1991, Emirati Arabi 1992, Zambia 1992, Kenya 2011, Gabon 2012), negli ultimi anni anche i paesi più sviluppati, e coinvolti solo in termini commerciali, si sono sensibilizzati all’argomento. Ecco allora che a Stati Uniti 2013 si sono susseguiti altri massicci Crush Ivory: Filippine 2013, il già citato Hong Kong 2014, Cina, Francia e Belgio sempre nel 2014, ancora Cina e Stati Uniti nel 2015. Senza dimenticare Ciad 2014 e, lo scorso anno, gli eventi in Kenya, Etiopia, Congo e Mozambico. Oggi si allinea anche l’Italia, con le 4 tonnellate del Crush Ivory di Roma.
“Sapendo da dove proviene, l’avorio non può avere un valore commerciale”, ha detto ancora il ministro Galletti mentre in tanti, anche qualche celebrità, facevano la propria parte mettendo oggetti fatti del materiale in questione sul nastro trasportatore. Tra queste anche la cantante Ornella Vanoni. Una che tra i suoi più grandi successi annovera un classico di ormai quasi 50 anni, “La musica è finita”, scritto a quattro mani dal Califfo e da Nisa (Franco Califano e Nicola Salerno), con la musica di Umberto Bindi. Un auspicio perché la musica, per i bracconieri dell’avorio, sia veramente prossima alla fine.
Huffington post – 8 aprile 2016