di Rosanna Magnano. Dotare gli ospedali di servizi di microbiologia permanente, per identificare i livelli di sensibilità e resistenza a singoli antibiotici e aiutare i medici prescrittori nella scelta delle terapie più appropriate; promuovere iniziative efficaci che mirino alla riduzione del consumo degli antibiotici in corsia; potenziare la formazione del personale sanitario; avviare un differente sistema di confezionamento dei farmaci, con l’introduzione di dosi unitarie o pacchetti personalizzati, per evitare autoprescrizioni da parte dei cittadini; garantire il benessere degli animali negli allevamenti per ridurre e disincentivare l’abuso di antimicrobici, tutelando la salute umana. Sono queste alcune delle proposte al Governo presentate in aula alla Camera dallemozioni Mantero (M5S) ed altri n. 1-01463, Rondini (Lega Nord) ed altri n. 1-01475 e D’Incecco (Pd) e altri n. 1-01476 su iniziative in relazione al fenomeno della resistenza agli antibiotici.
La partita è epocale perché, se non si trovano soluzioni, la resistenza agli antibiotici potrebbe addirittura superare il cancro in termini di impatto sulla mortalità. Secondo i dati diffusi dal rapporto «Review on Antimicrobial Resistance», pubblicato nel 2016, entro il 2050, le infezioni resistenti agli antibiotici potrebbero essere la prima causa di morte al mondo, con un tributo annuo di oltre 10 milioni di vite, più del numero dei decessi attuali per cancro. Ed è recente (26 maggio 2016) la scoperta da parte degli scienziati del dipartimento alla difesa Usa di un super-batterio resistente a qualsiasi tipo di antibiotici, compresa la colistina, considerata l’«ultima spiaggia» degli antibiotici. L’Onu in un incontro del 21 settembre scorso l’ha definita «la più grande sfida della medicina contemporanea» e i rappresentanti dell’Assemblea generale hanno firmato il documento che impegna i 193 Paesi membri a mettere in atto politiche e iniziative per contrastare l’antibioticoresistenza.
Già oggi, si legge nel testo della mozione Mantero e altri, si stimano circa 700mila morti l’anno a causa dell’antibiotico-resistenza, una stima approssimata per difetto, in quanto non si dispone di un sistema di monitoraggio globale. E l’Iss evidenzia, «come dimostrano le tendenze registrate da numerosi studi effettuati al riguardo, come l’utilizzo terapeutico degli antibiotici riscontra un continuo declino in termini di efficacia. Purtroppo, tale declino non è compensato, come invece avveniva in passato, dalla disponibilità di nuovi antibiotici efficaci ed è, almeno in larga misura, associato al loro abuso/cattivo utilizzo. L’uso improprio degli antibiotici ha fatto sì che oggi la loro efficacia non sia più un bene garantito, come a lungo siamo stati abituati a pensare, e che quelli oggi disponibili debbano essere maggiormente difesi, alla stregua di «risorse non rinnovabili».
L’Italia è particolarmente esposta al problema dal momento che è uno dei Paesi europei con il più alto consumo di antibiotici (24,5 DDD/1000 abitanti/die) insieme ad altri Paesi dell’Europa meridionale, Grecia in testa.
«Conseguentemente, l’Italia condivide con questi Paesi – si legge nella mozione – un alto livello di antibiotico-resistenza nei principali agenti batterici di infezioni gravi (stafilococco, escherichia coli, pseudomonas spp., pneumococco) e verso le principali classi di antibiotici (penicilline, cefalosporine, macrolidi e fluorochinoloni). La comunità scientifica internazionale è dunque ampiamente concorde nel sostenere la necessità di contrastare il fenomeno tramite un’inversione di tendenza che porti ad un corretto utilizzo (mirato, razionale e parsimonioso) degli antibiotici attualmente a disposizione, tenendo presente come la resistenza possa essere ridotta a vantaggio della sensibilità ma che, in ogni caso, questo avverrà con minore rapidità rispetto all’avanzare dell’antibiotico-resistenza».
L’uso inappropriato tra territorio e corsia
Punto di snodo per un più attento monitoraggio sono le cure primarie: circa l’80-90 per cento dell’utilizzo degli antibiotici avviene a seguito della prescrizione dei medici di medicina generale. E uno dei problemi è il gap Nord-Sud, che vede le regioni del Mezzogiorno consumare un numero significativamente superiore di dosi, senza alcuna giustificazione dal punto di vista epidemiologico. La variabilità regionale vede realtà di eccellenza, come la Liguria (16,2 dosi giornaliere ogni mille abitanti) e la provincia autonoma di Bolzano (14,4 dosi giornaliere ogni mille abitanti), e contesti che fanno più fatica a ridurre i consumi come la Campania (32,7 2 dosi giornaliere ogni mille abitanti), la Puglia (30,3 2 dosi giornaliere ogni mille abitanti) e la Calabria (28, 2 dosi giornaliere ogni mille abitanti). Ma il problema non è solo sul territorio. L’uso inappropriato si annida anche in corsia con troppi pazienti che ricevono antibiotici a largo spettro non necessari, per via di somministrazione errata, dose sbagliata e per troppo tempo. Per questo, sottolinea la mozione, «il laboratorio di microbiologia svolge un ruolo fondamentale per la gestione corretta degli antibiotici nelle strutture sanitarie».
L’anello debole degli allevamenti, la best practice olandese
Ed esiste un vulnus anche nel settore veterinario. «Il nostro Paese – si legge nella mozione del Pd – è il terzo maggiore utilizzatore di antibiotici negli animali da allevamento in Europa (dopo Spagna e Cipro), con un consumo più alto di quello effettuato da altri Paesi di simili dimensioni (il triplo della Francia e cinque volte il Regno Unito); l’uso eccessivo di antibiotici negli allevamenti intensivi è una delle principali cause della sempre maggiore resistenza degli organismi patogeni agli antibiotici; in Italia il 71 per cento degli antibiotici venduti è destinato agli animali e il 94 per cento di questi trattamenti è di massa. Questo determina una situazione di rischio elevato per la nascita di super batteri che dagli allevamenti possono raggiungere le persone e farle ammalare, contribuendo a far salire il numero di morti per antibiotico resistenza».
Sempre a questo proposito nella mozione dei pentastellati si porta ad esempio la best practice olandese, che ha tagliato drasticamente l’uso di antibiotici nelle stalle. L’Olanda ha ridotto negli ultimi 5 anni del 70 per cento il consumo degli antibiotici ad uso veterinario ed è ultima nella classifica europea per il consumo giornaliero di antibiotici, vantando uno dei più bassi livelli di antibiotico-resistenza al mondo. Soluzioni chiave nei Paesi Bassi: l’adozione di linea guida evidence based, formazione del personale sanitario e campagne istituzionali rivolte ai cittadini. E la prossima sfida è di ridurre del 50 per cento sia le prescrizioni inappropriate, sia le infezioni prevenibili nei prossimi cinque anni.
Il Sole 24 Ore sanità – 23 gennaio 2017